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Mi chiamo Paolo Groppo, ex-funzionario della FAO dove ho lavorato per quasi 30 anni sui temi legati alla terra, accesso, uso e governance, tanti a livello di comunità locali come di agricoltura familiare e diritti delle donne. La proiezione internazionale legata al tema dello “sviluppo” agrario è stata il mio pane quotidiano e quanto penso poter apportare come contributo al gruppo.

Ho scritto alcuni libri, alcuni in stile romanzo/thriller, sui temi della Memoria (Destinazione Esperanza), della devastazione ecologica (Marne Rosse) e l’accaparramento delle terre (Libambos), quest’ultimo insistendo in particolare sulla dimensione femminile.

 

Ho sintetizzato la mia esperienza professionale anche con altri libri pensati, come i romanzi, per interessare un pubblico diverso, non specialista (consiglio in particolare: La crisi agraria ed eco-genetica spiegata ai non specialisti. Sono particolarmente felice del prossimo lavoro, in uscita a gennaio per i tomi di Ombre corte, sulla questione di genere nel mondo agrario, la cui prefazione è stata scritta da Laura Cima e che ho scritto assieme ad altre tre specialiste del tema.

 

Il mio percorso di studi e professionale all’interno del mondo agrario ha preso una svolta chiave quando mi trasferii in Francia, nel 1985: incontrai delle persone che vedevano il tema dello “sviluppo” agrario non più come nell’università da dove provenivo, cioè essenzialmente basato su scienza e tecnologia, ma sotto il profilo storico-comparato, da cui la centralità degli attori (eh sì, per quanto fosse un gruppo di specialisti/e di “sinistra”, esistevano i contadini ma non le contadine).

 

Successivamente iniziai a lavorare al Centro di Sviluppo dell’OCSE a Parigi dove incontrai una collega e amica, che mi aprì gli occhi su un mondo per me ancora oscuro. Fu così che cominciai a sentir parlare di WID, e a leggere i miei primi studi su questo tema.

 

Nei giorni della caduta del Muro, novembre 1989, entrai a lavorare alla FAO, e pian piano, fra le difficoltà di aprirmi una strada per le idee che mi portavo dietro, iniziai a cercare possibili alleati/e con cui fare sponda e promuovere temi e un modo di pensare diverso. I due temi più rilevanti per questo riassunto sono stati quello dell’agricoltura familiare, concetto che introducemmo col nostro programma nel Brasile dei primi anni 90, per diventare poi uno dei temi chiave a livello di tutta l’America latina, e la questione del riconoscimento dei diritti delle comunità agricole in alcuni paesi africani, Mozambico ed Angola in particolare.

 

In entrambe queste tematiche iniziammo ad esplorare la dimensione dei diritti delle donne. All’interno della FAO era un tema trattato in modo non sufficientemente approfondito, sia per la resistenza strutturale opposta da un corpus di funzionari/e scelti a partire da profili tecnici specializzati e non sulla base di una visione olistica degli attori e attrici dello sviluppo, ma anche per la spinta insufficiente – secondo me -che si originava a partire dall’unità tecnica responsabile. L’idea di fondo, che resta l’architrave delle mie riflessioni ancora oggi, era (ed è) come riuscire a sensibilizzare persone, colleghi di altre unità tecniche, in modo da far passare i concetti di uguaglianza in maniera strutturale anche nei loro lavori.

 

Pubblicammo qualche documento assieme alla divisione di genere (IGETI: Improving Gender Equality in Territorial Issues) fin dal 2012 e riuscimmo anche a iniziare dei cambiamenti a livello di terreno, in particolare in Mozambico, dove il nostro lavoro permise, nel giro di quasi venti anni, a far cambiare la politica fondiaria nazionale, la legge sulla terra, i suoi regolamenti e i metodi di terreno per riconoscere i diritti delle comunità, e successivamente concentrando sempre più l’attenzione sui diritti delle donne, sia con formazioni dirette a futuri giudici, membri della polizia, operatori delle ONG e lider comunitari.

 

A mano a mano che aumentava la mia conoscenza e le esperienze pratiche che provavamo a portare avanti, mi diventava sempre più chiaro quanto forti fossero le resistenze sia di colleghi che di colleghe a voler capire le origini profonde di questo sfruttamento del mondo femminile, e di quanto fosse necessario cercare alleanze per sperare in qualche cambiamento strutturale.

 

Questi ultimi anni li ho pertanto dedicati ad approfondire quella parte della riflessione che andava al di là di quello che mi sembrava essere diventato un retorico richiamo ai diritti delle donne alla terra, sia da parte di governi, di organizzazioni internazionali che di movimenti contadini con cui ho quasi 40 anni di interlocuzione di terreno.

 

Questo mi ha portato, da un lato, a cominciare a interrogarmi, criticandolo, sul concetto di agricoltura familiare (https://paologroppo.blogspot.com/2021/01/ripensare-lagricoltura-familiare.html), dall’altro sulla necessità di approfondire, in campo agrario, quelle dimensioni che vanno oltre l’accesso alla terra: il controllo delle decisioni produttive, il controllo della gestione e dei risultati finali, nonché la questione spinosa, così raramente trattata, dell’ereditarietà di quei diritti. Ma il problema non si ferma qui: finita la giornata lavorativa, esiste sempre l’altra dimensione, la sfera privata, il “care”, che tocca sempre alle donne e che nessun movimento contadino osa realmente attaccare, malgrado le spinte che iniziano a manifestarsi dalla base.

 

Il vero problema, ma non serve che lo dica a voi, come lo spieghiamo nel prossimo libro, sta a monte, e cioè nel modello patriarcale che permea e avvolge quasi tutta l’umanità. La vera battaglia quindi inizia contro il patriarcato e su questo continuo a cercare persone e gruppi con cui fare sponda, per discutere, far conoscere e promuovere azioni.

 

Gruppi e persone di vario orientamento: ecco il perché del mio avvicinamento all’associazione Laudato Sì di Milano, che sembrava poter essere un momento di riflessione/azione nell’ambito italiano, speranza rivelatasi alla fine vana. Il riferimento ad alcuni aspetti dell’enciclica papale Laudato Sì era stato anche un aspetto che avevamo usato per aumentare le nostre pressioni interne in FAO. Ho anche collaborato con l’iniziativa papale “Economia di Francesco”, in particolare il gruppo Agricoltura e Giustizia (A&J), col quale eravamo riusciti a preparare una proposta comune centrata sui diritti delle donne alla terra, da presentare al Papa nell’incontro finale della EoF svoltosi a settembre 2022 ad Assisi.

 

Nel frattempo, nell’estate del 2022, assieme a una delle co-autrici del futuro libro, abbiamo pubblicato un articolo sui diritti delle donne alla terra, ampliato al tema dell’ecofemminismo agrario, nel rapporto annuale della Focsiv “I Padroni della Terra”.

 

Last but not least, assieme a un gruppo francese di cui faccio parte da molti anni (Agter), abbiamo provato a lanciare una riflessione (purtroppo sempre limitata alla sola questione dei diritti delle donne alla terra) nel forum attualmente ancora in corso sull’accesso alla terra.

 

Chiudo con una riflessione finale: cambiare il nostro comportamento, di maschi, richiede tempo, attenzione e perseveranza quotidiana. Lo vedo dentro di me, ma anche nei maschi che frequento al bar, quando ci sono dei lavori da fare in casa o, come dicevo prima, nel mondo lavorativo. Un proverbio cinese (forse Confucio?) dice che chi vuol spostare le montagne inizia portando via i sassi più piccoli. Ecco, io sono uno di quelli che vuole spostare i sassi per arrivare alla montagna. Ma sono cosciente che da solo non vado da nessuna parte.

 

Una traccia di questi miei sforzi ha preso forma nell’impegno di mia figlia, che lavora a livello europeo su questa questione. Quando la guardo, lei ma anche il marito, mi dico che qualcosa può cambiare.

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