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  • LE ECOFEMMINISTE RIPUDIANO LA GUERRA: fuori la guerra degli uomini dalla Storia!

    Le donne, in generale, sono contrarie a ricorrere alle guerre perché danno la vita e ne curano altre: questo le porta a detestare la sola idea che molte vite vengano recise indiscriminatamente per interessi di pochi decisori. Le femministe in particolare sono da sempre dichiaratamente pacifiste. Le ecofemministe, ancora più profondamente, non violente, ripudiano tutte le violenze contro umani, gli altri animali, le piante e ambiente, e naturalmente le guerre, dichiarate sempre da maschi con la connivenza di donne di potere omologate. Sono anche contro la violenza di ogni livello ed ogni parte: famiglia, religione, polizie e Stati. La guerra appartiene alla mentalità predatoria maschile, come la volontà di possesso, l'onore patriarcale, lo stupro anche domestico, etnico e di guerra, la mascolinità militarizzata, tipicamente di estrazione di destra. La Costituzione italiana è stata emanata, dopo una guerra mondiale tragica ed all'uscita da una lunga dittatura fascista e maschilista, da parte di una Assemblea composta finalmente anche da donne che, seppure solo in ventuno, hanno scritto i principi fondamentali e l’art. 11: “la Repubblica ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Noi ecofemmministe italiane siamo quindi coerenti con i principi costituzionali nel denunciare i massacri che il governo Netanyahu sta facendo nei confronti della popolazione palestinese, costretta ad assieparsi a Gaza. Alcuni Palestinesi convivono in Cisgiordania con coloni sempre più aggressivi e oggi spinti anche dal Governo ad occupare la gran parte dei loro territori. La narrazione autoassolutoria da parte del Governo di estrema destra israeliano sull'origine del suo attacco massiccio sia a Gaza che in Cisgiordania è stata da subito condivisa dai media internazionali, su pressione delle lobby industriali, finanziarie e politiche a influenza ebraica, soprattutto nordamericane. Nessuno e nessuna, tantomeno noi Ecofem, può giustificare e perdonare l'attacco, militare e sanguinoso, della formazione di Hamas del 7 ottobre 2023, contro quello che inizialmente era un rave internazionale di giovani, molti dei quali israeliani. Non si può non notare però che la reazione crudele e spropositata contro i civili palestinesi ammassati nei loro residui spazi veniva rivendicata come diritto di difesa conseguente al sanguinoso attacco terrorista. Chi denunciava l'invasione di ulteriori terre palestinesi cisgiordane da parte di coloni armati, le distruzioni a Gaza, già una prigione a cielo aperto con milioni di abitanti, e lo sterminio di decine di migliaia di civili e minori incolpevoli, veniva pubblicamente tacciato di collusione con i terroristi e di antiebraismo. Erano invece oscurate dai media le manifestazioni internazionali oceaniche di protesta contro i massacri ai civili palestinesi, mentre si dava riscontro ai pericoli di eventi antiebraici senza parlare di una deprecabile posizione di molti ebrei all'estero, che difendevano a priori le azioni del governo di Israele che diffondeva notizie di azioni aberranti di miliziani palestinesi come infanticidi, stupri, taglio di teste, poi ritrattate. Solo in notizie o articoli di nicchia si potevano riscontrare dettagli più scabrosi per Israele. Come il fatto non verosimile che i suoi Servizi segreti, onnipotenti e onnipresenti, non fossero a conoscenza dell'organizzazione dell'attacco di Hamas: ed infatti pare ormai accertato che l'informazione sia stata volutamente trascurata. Il fatto che il governo stesso finanziasse Hamas dalla sua nascita, nel 2006, se inizialmente aveva avuto lo scopo di indebolire l'OLP e le forze moderate, più di recente, probabilmente ha inteso favorire una ribellione, l'alibi perfetto per la “soluzione finale”: liberare dai Palestinesi l'intero territorio, con qualsiasi mezzo e, grazie alla supremazia bellica, bombardando, affamando, assetando, sottraendo mezzi e medicine, impedendo rifornimenti umanitari, accusando l'UNRWA di collusione per impedirne i finanziamenti e suggerendo la deportazione dei sopravvissuti nel desertico Sinai egiziano o in altre regioni africane. Altre informazioni, non facilmente disponibili nei media, riguardano grandi interessi economici di Israele pronti ad appropriarsi di risorse energetiche rinvenute nel territorio attuale della Striscia di Gaza, che le consentirebbero l'autonomia economica: giacimenti di petrolio nella parte a Nord, e di gas naturale a 30 chilometri dalla costa; in quest'ultimo affare è coinvolta ENI. Lo scambio concordato di prigionieri israeliani rapiti da Hamas con altri fra le migliaia di palestinesi già detenuti, pur se in proporzione maggiore, è stato seguito dalla carcerazione, come sempre senza garanzie ne’ prove, di altrettanti civili, compresi donne e minori, nonostante le continue proteste e richieste di non belligeranza dei parenti dei rapiti israeliani. Nonostante la propaganda retorica israeliana, l'isolamento della Striscia, sotto apartheid e circondata da un muro con pochi varchi controllati, l'impedimento provocato ai mezzi di comunicazione e l'uccisione di un grande numero di giornalisti, la misura della crudeltà è emersa. A distanza di quattro mesi, un solo Stato, il Sud Africa, ha reagito con uno strumento di ricorso di diritto internazionale, appellandosi alla Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja, accusando Israele di genocidio. Il 26 gennaio 2024 la Corte si è espressa accettando di valutare il ricorso, in quanto non manifestamente infondato, e dettando allo Stato di Israele prescrizioni di interrompere con immediatezza le ostilità: non avendo altri poteri impositivi, la direttiva è stata prevedibilmente ignorata, nonostante diversi Stati sudamericani abbiano ufficialmente appoggiato il ricorso del Sud Africa, come loro segnato di recente da regimi ed apartheid. A questo proposito, chiediamo al nostro governo di unirsi al sostegno al ricorso presso la Corte dell'Aja, riconoscendo la necessità immediata di uno Stato Palestinese, anche sotto il profilo della legittimità a stipulare accordi, concessioni e contratti. Pur se rappresenta un passo avanti, non è sufficiente la mozione parlamentare sul cessate il fuoco e rilascio degli ostaggi, raggiunta su accordo Schlein Meloni. Come prevedibile, le azioni del Governo israeliano mettono a rischio anche la stabilità di più Paesi: oltre ai territori palestinesi, sono state bombardate zone degli Stati limitrofi. Già negli anni ‘70 Israele si era del resto appropriata di territori in Egitto, Siria e Libano e non aveva poi rispettato gli accordi di Oslo con l'OLP del 1993, in cui i due Stati si riconoscevano vicendevolmente, con il diritto della Palestina a propri territori in Cisgiordania e Gaza, dimostrandosi ancora inaffidabile. Sussiste per noi ecofemministe e non solo, il timore che Stati bellicosi prendano ad occasione la difesa della popolazione araba per scatenare conflitti in un Medio Oriente instabile, in primis l'Iran, o influiscano nell'economia mondiale come avviene già con i blocchi nel Mar Rosso, o si rivitalizzi il terrorismo internazionale con il reclutamento di fanatici e mercenari. Gli incalcolabili danni di guerra non verranno probabilmente mai risarciti, neppure a responsabilità conclamata; sappiamo che non esiste tale obbligo, nel pure ignorato diritto internazionale, se non per accordi di pace tra gli Stati belligeranti, che nella situazione attuale sono improponibili, anche per l'espediente di Israele di non riconoscere uno Stato palestinese, contraddicendo anche sé stessa. Oltre ai danni materiali, come la distruzione quasi totale della Striscia, risultano devastanti i danni emotivi, incalcolabili ed irrimediabili dovuti ai continui esodi, alle deprivazioni, morti, malattie, ferite e invalidità permanenti che lasceranno segni indelebili: ci si riferisce anche agli shock subiti dai molti minori sopravvissuti, spesso rimasti orfani, per i quali il futuro sarà privo di prospettive e certezze, il che favorirà cinismo, fanatismi ed integralismi sfruttabili. Gli esodi tanto temuti saranno inevitabili e tragici, perché difficilmente ai Palestinesi sarà riservato il diritto di asilo concesso ai profughi Ucraini, un’azione che, come ecofemmministe, reclamiamo fin da ora per equità dall'Europa. Sotto il profilo ambientale, il costo causato dall’azione bellica in Palestina è pesantissimo. Per i primi due mesi, le emissioni di gas climalteranti derivanti dalla guerra e dalla catena di approvvigionamento bellico sono state calcolate in due milioni di tonnellate di CO2 equivalente; a Febbraio 2024 possiamo quindi ritenerne 4 milioni, quanto prodotto in due anni dal Niger; nel calcolo sono compresi anche i viaggi aerei sia dei cargo USA che trasportano rifornimenti bellici che degli aerei israeliani, le esplosioni di bombe, razzi e munizioni. Resteranno sul terreno per anni le sostanze inquinanti conseguenti al conflitto; anche la rimozione dei detriti e la ricostruzione degli edifici distrutti avranno un peso ambientale enorme, ed il tutto peserà sul resto del mondo, anche se non considerato nei trattati sul clima. Noi ecofemmministe facciamo quindi appello ai leader nazionali ed europei, che finora non hanno attuato strategie efficaci nel por fine ai conflitti in corso, di non rimanere più impassibili a fronte di stragi di soldati e di civili e a devastazioni di città e territori. Occorrono quanto prima proposte convincenti di negoziazione. Smettiamo di affidare le sorti di interi popoli all’esito ottenuto attraverso l'uso massiccio di armi. Da parte nostra diciamo che il solo riconoscimento generico dello Stato Palestinese non risolverà il problema di chi lo governerà, e non potrà certo essere Hamas, ma nemmeno una corrotta e poco credibile Autorità Palestinese intrisa di machismo e di una cultura patriarcale. Bisognerà occuparsi subito di promuovere una maggiore partecipazione femminile nei luoghi di potere. Coordinamento nazionale ecofemministe - 14 febbraio 2024

  • comunicato del coordinamento nazionale ecofemminista

    L’UNIONE EUROPEA CONCEDA LA PROTEZIONE TEMPORANEA ALLA POPOLAZIONE DI GAZA Al dodicesimo giorno dall’attacco terroristico di Hamas in territorio israeliano, del 7 ottobre scorso, il bilancio dell’orrore ha superato i 12 mila feriti e i 3.400 palestinesi uccisi (tra cui circa 1000 bambini), mentre i morti israeliani sarebbero stati 1.400, oltre ai 199 ostaggi, ingiustamente detenuti nella striscia di Gaza. Là, proprio dove - nei primi 6 giorni dopo l’operazione “Alluvione al-Aqsa” rivendicata da Hamas - la reazione dello Stato d’Israele ha scaricato sul terreno oltre 6000 bombe, anche al fosforo, senza risparmiare “corridoi sicuri”, ambulanze e ospedali. La pioggia di esplosivo ha distrutto le case, mentre nella striscia sono state sospese le forniture di acqua, cibo, medicinali e elettricità da parte delle autorità israeliane. Alla popolazione civile di oltre 2 milioni, controllata politicamente da Hamas dal 2007, il governo israeliano ha intimato di evacuare, non si sa bene in quale direzione, visto che i valichi sia verso l’Egitto, sia verso Israele hanno continuato a rimanere chiusi. La minaccia dell’azione di terra da parte dell’esercito israeliano pare abbia già prodotto un milione di profughi interni, che si aggiungono agli sfollati già riparati nella striscia di Gaza a seguito dell’espansione territoriale israeliana, in atto da decenni. L’Europa si è limitata a rappresentare la propria solidarietà ad Israele, dopo il barbaro attacco del 7 ottobre scorso. Tace di fronte alla punizione collettiva del popolo palestinese che si sta consumando. Eppure il diritto internazionale vieta di uccidere indiscriminatamente la popolazione civile innocente, non più danno collaterale, ma bersaglio diretto. Nessuna sanzione o presa di posizione è stata assunta dall’Europa nei confronti delle pratiche illegali degli insediamenti dei coloni ebrei, delle occupazioni militari, delle confische di case palestinesi, degli arresti senza processo, in aperta violazione delle svariate risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, a partire dalla n.242 del 22.11.1967 in cui l’ONU ingiunse a Israele di ritirarsi dai territori conquistati militarmente. Il rispetto del diritto internazionale non può essere fatto rispettare selettivamente, a seconda della sfera d’influenza a cui appartiene lo Stato aggressore. Per questo CHIEDIAMO di applicare agli sfollati provenienti da Gaza - in particolare alle donne, a bambini e bambine - la protezione temporanea (prevista dalla Direttiva 55/2001/CE) che è stata utilizzata per la prima volta per la popolazione ucraina il 4 marzo 2022, a pochi giorni dall’invasione russa, e che è stata prorogata fino al 3 marzo 2025. Con tale atto umanitario l’Europa ha fornito sicurezza e sostegno a oltre 4 milioni di cittadini ucraini. Perché non può fare lo stesso con 2 milioni di abitanti di Gaza che stanno morendo sotto le bombe, senza uno Stato e una reale possibilità di difendersi? Non è ammissibile che la Commissione UE non ravvisi le stesse condizioni per la concessione della protezione temporanea anche per gli abitanti di Gaza, formata al 40% da minori di 14 anni. Il 10 ottobre scorso, l’ONU ha censurato l’assedio totale di Gaza “proibito dal diritto internazionale umanitario”. L’Europa deve far sentire la propria voce, disinnescare l’escalation che sta causando morti e sofferenze incalcolabili dall’altra parte del Mediterraneo, facendo rispettare i diritti umani. In democrazia, la solidarietà e l’umanità non possono discriminare. 18/10/2023 - COORDINAMENTO NAZIONALE ECOFEM FIRMA QUI la petizione a sostegno del comunicato

  • COMUNICATO STAMPA DEL COORDINAMENTO NAZIONALE ECOFEMMINISTA

    Inaccettabile l’ondata di fango ed odio che la magistrata Iolanda Apostolico sta subendo in queste ore solo per aver fatto il suo lavoro in scienza e coscienza, disapplicando con sentenza, il decreto sull’immigrazione del Governo Meloni, il cosiddetto decreto Cutro. Una sentenza che nulla ha a che fare con l’ideologia ma molto con il rispetto della Costituzione, dei trattati europei e con il rispetto dei diritti umani. Eppure, evidentemente, ad una donna magistrata non si perdona l’indipendenza di pensiero e il coraggio di esprimerlo, pur nel linguaggio giuridico e nel solco delle prerogative dettate dalla Costituzione. Per questo il Coordinamento Ecofemminista esprime massima solidarietà alla giudice Apostolico, incoraggiandola ad andare avanti con serietà e sobrietà come ha fatto finora. https://ecofemministe.wixsite.com/ecofem Aderiscono: Associazione Freedomina Napoli, Vita Activa Nuova Aps Editrice, Governo di Lei, Iniziativa Femminista, Anita Sonego – Presidente onoraria della Casa delle Donne di Milano, Francesca Rossi per il Consiglio Direttivo della Casa delle Donne di Milano, Rosangela Pesenti - UDI Velia Sacchi Bergamo, Laura Cima, Gabriella Taddeo, Marilù Mastrogiovanni, Eliana Rasera, Rosa D’Amato, Alessandra Maiorino, Laura Moschini, Laura Incantalupo, Ilaria Baldini, Wilma Calleri, Liliana Marchi, Marina Zweyer, Elena Zweyer, Antonella Farina Riva, Antonella Venturelli, Graziella Lorigliola, Daniela Gerin, Giuliana Segarich, Rosanna Agapito, Cristiana Morsolin, Mariangela Pacorig, Silvia Pierotti, Alessandro Saullo, Eros Barbo, Marcello Serafini, Donatella Roghelia, Anita Battististuta, Simonetta Ferrero, Associazione Tempi di Fraternità di Asti, Giorgio Saglietti, Marina Cavallini – Casa delle donne di Milano, Luisa Rasero, Maria Pierri - Neuropsichiatra Infantile - Milano, Parisina Dettoni, Serenella Molendini - CREIS, Marina Cavallini - Casa delle Donne di Milano PUOI FIRMARE QUI QUI LA SENTENZA

  • Il futuro ci riserva una vita da niente

    Per me l’obiettivo primario, la priorità assoluta rispetto a tutte le altre, per quanto importanti e da me stessa perseguite lungo un arco di tempo lunghissimo, è da vari anni la lotta all’inquinamento ed al conseguente cambiamento climatico. La creazione di un gruppo capace di concepire ed attuare un ragionevole e realistico piano di lotta, fu il motivo per cui mi misi in contatto con Laura Cima, che ne proponeva la formazione in un momento particolarmente delicato della vita politica italiana, in vista delle elezioni del 25 settembre 2022. Il gruppo si è chiamato Ecofemminismo e sostenibilità e in tempi brevi ma laboriosi e fertili fu scritto il suo Decalogo Ecofemminista per un buon Governo. Il futuro ci riserva una vita da niente. Questo non è solo l’interessante punto di vista di un giovane e brillante pensatore, Leonardo Caffo, il quale rientra di diritto nella schiera dei così detti apocalittici, intersecando filosofia e statistica, spazio, tempo e capacità di reazione dell’uomo al cambiamento. Il suo punto di vista è sostanzialmente anche il mio, con la differenza che io non lo vivrò, quel futuro, ma la cosa, lungi dal consolarmi mi annienta perché a viverlo saranno figlia e nipoti e tutte/i le/i loro coetanee/i. La mia sofferenza è anche quella di molte persone anziane che, come me, sono particolarmente attente ed informate a proposito delle emergenze ed urgenze che le politiche nazionali, europee, mondiali avrebbero dovuto affrontare da mezzo secolo o almeno negli ultimi vent’anni mentre solo ora mostrano di prendere in considerazione – almeno in teoria – e tentare un minimo di dimestichezza con le gravi problematiche che dovrebbero invece affrontare subito e globalmente. Sono pessimista? Catastrofista ed apocalittica? Non credo proprio. Semplicemente da vent’anni e più non faccio che invitare a guardare il famoso bicchiere per quello che è: in frantumi! Altro che mezzo pieno! Non a caso il mio ultimo libro edito l’anno scorso con il titolo “Memorie dal futuro” è stato definito romanzo distopico… In realtà sono da decenni dolorosamente consapevole del fatto che di anno in anno non si poteva e non si potrà che peggiorare. C’è chi parla di apocalisse, di fine del mondo già in pieno svolgimento. Come Caffo io credo che sia in atto la fine di questo mondo, nel senso che ci saranno una valanga di eventi distruttivi al punto tale che, di tutte le cose che conoscevamo e di come le conoscevamo ci si dimenticherà. Eventi che nei tempi andati venivano relegati ai territori del terzo mondo, lontani, affamati e barbarici. Tanto per incominciare, i cambiamenti climatici che già sono vistosamente in atto con effetti disastrosi, non daranno tregua a chi vivrà nel prossimo futuro. Le guerre per l’acqua sono una previsione unanime. I combustibili fossili che inquinano il mondo sono un enorme e generoso viatico per le pandemie, oltre che distruttori di enormi ricchezze ambientali. Solo se si comprenderà che l’economia deve cedere davanti alle urgenze legate alla sopravvivenza delle specie, non ultima ovviamente la nostra, sul pianeta, sarà possibile sperare in un recupero parziale della vivibilità. Da vari anni gli scienziati dell’IPCC (foro scientifico intergovernativo sul cambiamento climatico formato nel 1988) hanno definito una serie di tipping point per il riscaldamento globale, vale a dire dei punti di non ritorno oltre i quali sarebbe stato impossibile mantenere “lo stato del clima”. O più precisamente, oltre i quali si sarebbero innescati profondi e irreversibili cambiamenti con effetti a cascata su tutto l’ecosistema terrestre. Chiedevano un’azione urgente per ridurre le emissioni di gas a effetto serra e prevenire in questo modo il superamento dei tipping point. Tra essi quelli che riguardavano il ghiaccio marino artico, la calotta glaciale della Groenlandia, le foreste boreali, il permafrost, l’AMOC o Capovolgimento meridionale della circolazione atlantica, la foresta pluviale amazzonica, i coralli di acqua calda, la lastra di ghiaccio antartica occidentale, parti dell’Antartide orientale ed altri ancora. La fusione delle calotte glacialiinfatti sta portando ad un aumento irreversibile del livello dei mari (si parla di 10 metri e oltre!); la riduzione delle foreste pluviali e foreste boreali, invece, sta provocando il rilascio di ulteriori gas serra amplificando il riscaldamento. Sebbene i futuri punti di non ritorno e l’interazione tra di essi siano difficili da prevedere, gli scienziati sostengono che “se dovessero verificarsi stravolgimenti dannosi a cascata, non è possibile escludere un tipping point globale, una minaccia esistenziale alla civiltà. Nessuna analisi costi-benefici ci aiuterà!” Ergo: da un pezzo avremmo dovuto cambiare il nostro approccio al problema. Invece… Invece posso ben condividere senza se e senza ma le parole a suo tempo pronunziate da Noam Chomsky per il quale la pandemia di Covid (cui altre purtroppo seguiranno) era la meno grave delle crisi che vivevamo (e che viviamo…) Chomsky diceva infatti che siamo in uno stato di emergenza permanente che è molto più grave della pandemia, molto più serio. Si tratta della minaccia della catastrofe ambientale globale. Gli oceani e l’atmosfera si stanno surriscaldando, le calotte glaciali si stanno sciogliendo. Siamo ormai in una emergenza che fa sembrare tutte le altre marginali. Da anni ed anni avremmo dovuto controllare l’ambiente. Invece… Invece ormai stiamo raggiungendo un punto in cui la catastrofe sarà irreversibile e la società umana organizzata scomparirà, insieme a milioni di altre specie che stiamo distruggendo. Questa è la più grande crisi della storia umana. Doveva e oggi più che mai deve essere affrontata in modo cooperativo, non conoscere confini, tantomeno sopraffazioni internazionali e guerre! Invece… Invece siamo sopraffatti da un’altra emergenza: la minaccia di una guerra nucleare e si continuano a sviluppare nuovi armamenti estremamente pericolosi, ad armarsi ed armare altri di tutto punto… E’ possibile realizzare una grande unità tra donne di varie forme della politica? Tale da opporsi efficacemente alla politica istituzionale e operare il cambiamento urgente e non più procrastinabile? Questi quesiti fanno subito riemergere l’eterno, mai risolto conflitto che mi porto dentro e del quale più volte ho scritto a proposito del mio sentirmi ‘diversamente nemesiaca’ sin dal momento in cui, dopo un periodo di frequentazione del Centro Donna di via Cilea al Vomero (primi anni ’70) e quindi di manipoli di femministe aggregate in collettivi, decisi di entrare nel gruppo fondato da Lina Mangiacapre/Nemesi. Il conflitto nasceva principalmente a causa del mio vissuto familiare e sociale ma più ancora della mia formazione scolastica ed universitaria. Non si è mai placato del tutto e mi accompagna ancora, con le sue contraddizioni ed i suoi dubbi perenni. Intrapresi con passione la militanza ‘nemesiaca’, che di militante rispetto alla ortodossia femminista di allora aveva poco o niente, a parte la scelta di separatismo. Al Centro Donna Si parlava già dai primi incontri di SORELLANZA! Si cercava di agire in una dimensione degna del MOVIMENTO! Ovvero di quella straordinaria mobilitazione generale di donne provenienti da o ancora appartenenti a varie formazioni politiche, partitiche o extraparlamentari, unite in un altrettanto generale desiderio di lotta e rivolta. La maggior parte delle quali erano in collettivi decisamente separatisti. Ma fu ed è proprio il separatismo a suscitare in me le fatidiche domande: l’unità tra donne di varie forme della politica è realisticamente conciliabile con la scelta di separatismo? Ed il separatismo aveva (e potrebbe ancora avere) il senso, la prospettiva e soprattutto la forza aggregante che tuttora gli si attribuisce, spesso abbastanza enfaticamente, in una fase quale quella che stiamo vivendo? In cui il risultato attuale per quanto attiene agli obiettivi della rivoluzione femminista (neo-femminismo anni ’70) è, secondo me, di evidente e fallimentare destrutturazione? Non a caso mi servo di questo termine – destrutturazione - per lo più riferito ad azioni di scomposizione o abbandono di una qualche struttura. Infatti molto dell’enorme e pluristratificato patrimonio politico/culturale prodotto, costruito e conquistato dal femminismo separatista in un paio di decenni epocali, è stato smantellato nei decenni successivi o, peggio ancora, saccheggiato, revisionato, mistificato. Principalmente ad usum di fini di seduzione fallica, comunque elettorali. Non solo dal potere politico/istituzionale/patriarcale e dai partiti di sinistra ma anche come conseguenza del black out di memoria storica, di cui le stesse femministe sono in parte responsabili, già a partire dalla fine degli anni ’80 e più ancora dai ’90. E non certamente al fine di procedere ad una ristrutturazione su nuove basi, più realistiche, in una visione più pragmatica del rapporto con potere ed istituzioni ecc. ecc. e quindi tendente ad una riorganizzazione magari e finalmente in piena attuazione dei principi costituzionali e nella gestione politica, amministrativa ed economica del territorio e delle popolazioni che lo abitano. In primis il popolo delle donne, che non è una etnia ma la famosa ‘altra metà del cielo’… Va da sé che per quanto mi riguarda, grande merito, nel percorso di liberazione personale va all’incontro con Nemesi e alla pratica femminista nel e con il gruppo delle Nemesiache soprattutto come artista e scrittrice. Ma anche e forse soprattutto va proprio al mio percorso formativo che mi diede strumenti di analisi, di logica, di esigenze profonde di carattere intellettuale, come l’onestà, il coraggio e l’umiltà, custodendole in fondali dai quali emergere in superficie per sostenere, supportare, direzionare la mia traversata ogni volta che la fatica del vivere e lo sforzo di essere minacciavano un penoso naufragio. Per non dire del confronto con le altre/i, che per me, come per chiunque non parta dal postulato assoluto della propria infallibilità, era ed è sempre, anche ora che ho più di settant’anni, banco di prova della mia capacità di accogliere e fare tesoro della diversità o comunque non mai respingerla a priori. Detesto da sempre il classismo, lo snobismo intellettuale. La mia formazione mi ha permesso di non perdere il senso della realtà, il valore della mediazione tra ideali e desiderio utopico di costruzione di un mondo al femminile, nell’interesse di tutte e tutti, particolarmente delle creature più deboli ed emarginate, per un verso, e opportunità e necessità di scelte pragmatiche al fine di raggiungere obiettivi politicamente e concretamente realizzabili, per altro verso. E, soprattutto, da un certo momento in poi non me la sono mai raccontata. Il che tuttavia mi ha complicato non poco le cose in molte situazioni e più che mai in quelle che si venivano a creare nel gruppo allorquando Lina/Nemesi prendeva decisioni e si avviavano progetti che richiedevano gestione realistica, pragmatica e manageriale per l’attuazione e il raggiungimento degli obiettivi concreti ed invece si procedeva ostinatamente in una conduzione, peraltro verticistica, visionaria ed utopica. Dal mio punto di vista praticamente inconciliabile con le esigenze e le urgenze di carattere istituzionale, legale, burocratico ecc. ecc. D’altra parte, cosa aspettarsi da una mentalità talmente utopica da rendere impraticabile persino quella che per me era ed è l’unico comportamento in grado di conciliare ideali, valori, utopie con la realtà? Mi riferisco alla prassi dell’utopia, la quale tiene conto degli ideali e degli obiettivi utopici (non delle ideologie che sono ben altra cosa…), ma anche della organizzazione e della concretezza della dimensione sociale e politica in cui si decide di operare attivamente per il cambiamento possibile. Passo dopo passo, anno dopo anno, senza mai mollare. Nel 1970 Lina Mangiacapre scriveva ed a tutte le femministe chiedeva: “Perché imitare l’agorà? Perché non cercare di arrivare alle molte attraverso le alcune in una politica reale e non di recita? Il potere è una risata. Il consenso quantitativo dà illusione di onnipotenza e gratifica il proprio narcisismo. Non ci caliamo dentro facendoci contaminare dal rituale. Ottima terapia medica ma non è mai politica, tutto ciò che l’uomo chiama politica non lo è, non lo è mai stato. Noi ci dividemmo in piccoli gruppi per fare politica e l’incontro era il grande momento dialettico. Il falso teatro del monologo non può essere politica. La seduzione fallica gioca illusioni vecchie, lasciamo cadere il rigido ridicolo del potere e andiamo alla potenza di un’energia circolare nel cerchio coraggioso di un monologo dialogo trialogo etc. Per fondare la nostra città nella nostra storia”. Se mi sentivo conflittuata allora, figuriamoci ora! Il potere… A proposito del potere arrivo al passaggio che ho colto in modo fulminante e che lo riguarda nella splendida relazione di Maria Carla Baroni! Nel senso che ne sono stata presa con l’immediatezza inappellabile dell’idea che mi appartiene. Moltissimo! La penso come lei e mi riferisco a “talora nel dibattito tra donne viene posto il problema della posizione da prendere nei confronti del potere. A mio parere il problema non si pone se consideriamo che sia politica ogni forma di azione collettiva che voglia incidere nell’esistente; la politica nelle istituzioni diventa allora una delle forme possibili, sicuramente importantissima, ma non quella totalizzante, non la sola. Il potere poi non va demonizzato in astratto come “cattivo in sé” se rimane nell’ambito della possibilità e della capacità di decidere e di agire. Naturalmente si tratta di vedere in concreto - caso per caso - per quali fini e con quali mezzi si decide e si agisce. Il potere lo hanno le istituzioni, ma qualche forma di potere lo hanno anche tutti i soggetti collettivi politici, sociali e culturali, nazionali e locali, che spesso si contrappongono alle istituzioni ai vari livelli. La politica nel suo complesso è quindi confronto e conflitto, tra valori e fra interessi”. Tutto ciò premesso devo però aggiungere che, se si punta alla liberazione in primo luogo delle donne e si propone una sempre più ampia aggregazione tra donne, per quanto valide le motivazioni, non sono incondizionatamente d’accordo. A tal proposito potrei scrivere per ore ed ore se mai avessi voglia di dimostrare che proporre una sempre più ampia aggregazione tra donne, peraltro come unica possibile forza trainante per la liberazione addirittura di tutti gli esseri umani, mi sembra ormai quanto di più utopico si possa pensare… Il che mi riporta ad una profonda e permeante sensazione di conflitto non risolto e – ahimè – temo proprio non risolvibile. Perché? Bella domanda! Probabilmente per la definitività del fatto che non credo più in una generalizzata e generalizzante SORELLANZA. Anzi, a dirla tutta, neanche nella tradizionalmente auspicata FRATELLANZA. Gli ultimi decenni sono stati pesantissimi nel collezionare delusioni sul piano politico, sociale e relazionale, nonché sconcertanti defezioni o tradimenti. Nel verificare sempre più spesso la diffusa incomunicabilità tra donne appena un tantino diverse, sedicenti femministe comprese. E che dire dell’arroganza di quelle ideologicamente imbalsamate e ostinatamente aggregate a partiti o fazioni? Del subire aggressività e persino violenze verbali se solo mi esponevo, dichiarando il mio pensiero, una opinione, un sentire? Ho misurato la crescita esponenziale della mia impotenza a fronte dello smisurato aumento di mentecatte e più o meno finte oche giulive, funzionali al sistema politico e soprattutto a quello massmediale. Ma anche a fronte di intellettuali/femministe con la sindrome del più patetico narcisismo… Credo quindi che pensare di allargarsi a dismisura di aggregazione in aggregazione, mettere, per così dire, sempre più carne a cuocere, potrebbe comportare una sorta di dispersione, un indebolimento della e nella forza della concentrazione. Perdere di vista le priorità e gli obiettivi che hanno determinato la formazione di un gruppo, è sempre negativo, controproducente e persino pericoloso. Nel senso di facilmente prodromico al fallimento che è purtroppo già di per sé da tenere in conto realisticamente sin dalla/e base/i di partenza, in una realtà oppositiva e sabotante ovunque e a vari livelli. In conclusione, mi riallaccio a quanto ho scritto inizialmente perché credo che occorra concentrare le energie e le competenze disponibili sull’obiettivo primario che è l’attuazione in concreto di un ragionevole e realistico piano di lotta al cambiamento climatico, attraverso le possibili azioni da parte di un soggetto politico come il nostro, per quelle che sono obiettivamente le sue capacità di coinvolgimento, di approccio interlocutorio, di intese politicamente significative e dei loro ulteriori sviluppi. Soggetto che si chiama Ecofemminismo e sostenibilità, con il suo Decalogo Ecofemminista per un buon Governo. Silvana Campese

  • rappresentanza

    Nessuno ci rappresenta oggi in Parlamento: noi ecofemministe proponiamo di attualizzare il dibattito avviato da sottosopra nel 1987 promuovendo un confronto attuale tra ecofemmministe e disertori del patriarcato partendo dall'esperienza del nostro decalogo tenendo conto che la separazione della politica dalla società delle donne oggi è molto più profonda di allora, com’è emerso anche dal nostro ultimo confronto in rete dove ci sembrava ormai una via obbligata agire politicamente fuori dalle istituzioni come hanno scelto le giovani di nudm, fff e XR e di altri movimenti e associazioni. Riprendo parte del testo della libreria delle donne, scusandomi per i tagli, che poneva forti dubbi sul fatto che essere donna fosse rappresentabile nei modi (numerici, quantitativi) della democrazia classica: “...chi entra nell’esercito o nella chiesa, vi entra chiaramente solo per se stessa, quella che entra nel parlamento, istituzione della rappresentanza, con l’idea di una possibile rappresentanza femminile, copre la volontà di quelle che se ne tengono fuori. Quanto all'”ingombro”, l’occhio si abitua presto a vedere una donna al posto di un uomo quando lei assolve le funzioni previste da un ordine sociale pensato da uomini. La significazione della differenza sessuale non può andare senza trasgressione, senza sovversione dell’esistente. di per sé una maggiore presenza femminile in parlamento non crea disturbo perché le rappresentanti debbono accettare molte potenti mediazioni: quella con il partito che le fa eleggere, quella di una inevitabile adesione e legittimazione di quel potere maschile che lì si esprime, e tutte le mediazioni che domanda il fare leggi. In concreto, dunque quello che le elette potranno far valere sarà, al massimo, un diritto di veto sulle leggi per le donne. Oppure agiranno come una piccola lobby, sul modello della democrazia americana. Sia chiaro, non penso e non parlo contro quelle donne che in parlamento vanno, apertamente, per un proprio desiderio, con una competenza e un’ambizione da far valere. se vi sono donne che vogliono entrare in Parlamento, come tante sono entrate nelle professioni e nel mercato del lavoro, che mettano in chiaro il desiderio che le muove, i loro progetti politici, che dicano anche su quale universalità intendono scommettere e quanto, come pensano di difendere la loro parzialità femminile...In questa maniera esse si legano alle altre donne, a me, non attraverso l’istituto della rappresentanza ma attraverso l’affermazione di un desiderio femminile... Eravamo consapevoli che la questione della rappresentanza della differenza sessuale...poteva diventare in pratica una tentazione per alcune di porsi quali mediatrici tra il movimento delle donne e la politica istituzionale. Noi stesse, d’altra parte, abbiamo bisogno di ragionare più a fondo su come nella vita sociale voglia di vincere ed estraneità s’intreccino fra loro e su come porci rispetto al gioco che in noi si crea fra queste due parti di noi. Rimane ancora tutta da fare l’analisi delle sovrapposizioni che si creano fra la lingua che la madre comunica (degli affetti) e l’altra lingua, quella sociale trasmessa dal padre. E riuscire a comunicare con semplicità che cosa intendiamo dire con silenzio del corpo, dal momento che di fatto le donne parlano e apparentemente senza differenza dal linguaggio maschile. E riuscire ad agire nel mondo quel tanto di sapere, cambiamento e voglia di vincere che i gruppi di donne hanno prodotto, senza che il nostro agire appaia come un riflesso femminile dell’agire maschile”. Rifiutiamo di arrenderci all’invisibilità nella sfera pubblica e chiediamo un confronto a chi siede in parlamento e nei consigli, o si candiderà nelle prossime regionali. laura cima

  • il diritto all'amore

    di Silvana Campese Il bisogno sessuale non attiene solo alla sfera del corpo e del piacere genitale, ma riguarda anche il bisogno di relazione, di amore, di scambio. Tutto quanto, cioè, può avvenire in una relazione affettiva al di là delle barriere poste dalla disabilità, al di là dell’handicap! E, nella migliore delle ipotesi, di tale intensità e spessore da generare un progetto di vita. L’esperienza, oltre che l’approfondimento teorico dell’argomento, mi ha insegnato che le persone disabili hanno la necessità di soddisfare bisogni relazionali e affettivi rimasti piuttosto che l’urgenza di dare sfogo al bisogno sessuale strettamente inteso attraverso l’accoppiamento fisico. Il portatore di handicap deve quindi egli stesso andare oltre, non permettere all’ignoranza di amplificare la portata delle sue difficoltà e in primis accettare il proprio corpo con le sue limitazioni. Questo il primo grande traguardo. In molti casi è purtroppo difficilissimo ma assolutamente non impossibile. Il nostro fu un incontro veramente speciale. Non par­lava alcun linguaggio decifrabile secondo i normali codici in­terpretativi, era costretto su di una sedia a rotelle a causa del­la tetraparesi spastica e della distrofia muscolare, aveva gran­di difficoltà nella masticazione e nella deglutizione e non sem­pre riusciva a controllare gli sfinteri. Ma la vivacità del suo sguardo e la forza della sua intelligenza particolarmente creativa mi calamitarono sin dal primo giorno che lo vidi, il­luminato come sempre dal suo sorriso raggiante e circondato dai suoi compagni di classe, tra cui mia figlia. La mae­stra aveva fatto appello a me, che ero la rappresentante dei genitori ed a qualche altra mamma che riteneva manovrabile più di me, per coinvolgerci nel suo ‘dramma’ e sostenerla nella battaglia che intendeva combattere al fine di liberarsi di lui. Era cascata proprio bene! Non avevo perso tempo in chiac­chiere e mi ero subito messa in contatto con la madre del ragazzino, pregandola di raggiungermi a scuola per conoscerci e parlare. Nell'avvicinarmi al gruppetto chiassoso e festante focalizzai la mia attenzione sulla esile e pallidissima donna che spingeva la carrozzella che mi parve subito non poter es­sere altri che lei, così anonima, scialba e malinconica. Ignorai tranquillamente la splendida bionda che rideva gioiosamente tra i ragazzini e gesticolava entusiasta rivolgendosi ora all'uno ora all'altro. Pensai si trattasse di un'altra mamma, probabil­mente amica della prima. Fu invece con grande meraviglia ed un non lieve imbarazzo che, nel presentarmi guardando l'una, mi rispose divertita l'altra. Due splendidi occhi d'un intenso e luminoso azzurro cielo mi sfavillavano intorno senza fer­marsi un attimo, attirati ora da questo ora da quello dei mille piccoli gesti e sorrisi dei bambini e, quando fu possibile ap­partarci per un attimo, mi resi subito conto di avere di fronte una persona esuberante, giovane ed aperta alla vita oltre ogni più ragionevole speranza, indipendente nello spirito almeno quanto io ero incasinata nell'animo e guerriera certamente quanto me. Dalla magia di questo incontro nacque poi la lun­ga storia che fece di lei per alcuni anni una delle mie più care amiche-sorelle e del figlio una grande fonte di affettività e di calo­re per chi, come me e mia figlia, ebbe ed ha la fortuna di cono­scerlo e di imparare a comprenderne la personalità ed il talento. Il che, tra l'altro, non è assolutamente difficile come sembra in un pri­mo momento e non richiede un grande sforzo perché un disabile come lui uti­lizza i pochi mezzi di cui dispone elevandoli al massimo espo­nente possibile e facilitando la comunicazione in modo sor­prendente. Tant'è che quando stavamo insieme parlavamo, ci confidavamo e ridevamo a crepapelle senza stancarci mai. L'impegno che occorse per la battaglia che intraprendem­mo insieme, l’amichetto disabile in primis, mia figlia, i bambini tutti, mol­ti genitori della scuola, la splendida bionda ed io potenziò la voglia di lottare per i miei ideali e per una giustizia che non fosse soltanto parlata. Mi stimolò ad una autocritica costruttiva e fertile di nuova progettualità e di nuovi entusia­smi. Ne venne fuori una rinnovata forza interiore e l'urgenza di investire energie e contenuti nel sociale, inaugurando un periodo di grande partecipazione in molteplici realtà fiorenti allora nel quartiere, sul territorio metropolitano e particolar­mente nell'istituzione scolastica. Non posso in questa sede narrare tutta la lunga storia che riguarda i grandi e meritevoli risultati ottenuti da quel disabile in ambito scolastico, sociale, professionale ed anche in campo affettivo e relazionale. Ma, poiché mia figlia ed io continuammo a frequentare casa sua anche dopo la scuola dell'obbligo, ebbi modo di conoscere altri casi analoghi e contribuire come e quando potevo alle iniziative e alle attività delle associazioni cui faceva riferimento la madre e cioè AIAS – Associazione Italiana Assistenza Spastici.e AID – Associazione Italiana Dislessia. Mio fratello ha quattro anni meno di me. Ormai è anziano anche lui e comunque la differenza non è più così evidente come in quegli anni adolescenziali, quando io ancora non ne avevo diciassette, forse diciotto e quindi a me in famiglia erano proibite moltissime cose - all'epoca la maggiore età si raggiungeva a ventuno – alcune delle quali già al fanciullo, in quanto maschio, consentite. Comunque, per la cronaca, anche dopo i ventuno anni le restrizioni ed i divieti che toccavano a me erano ancora molti. Un episodio fu molto illuminante in quella fase della vita in cui iniziavo appena e molto confusamente un percorso di presa di coscienza che purtroppo sarebbe durato troppo tempo per salvarmi da 'scelte' sbagliate. Di quelle che certamente, col senno di poi, non avrei rifatto già a trent'anni. Alcune anche prima. Tutto gongolante come avesse di che vantarsi, mi confidò di aver avuto una esperienza sessuale 'completa' e mi disse anche dove, quando e con chi. La cosa mi turbò moltissimo, sia per il fatto in sé sia perché ad adescare lui e il suo 'compagnuccio di merende' erano state due "bonazze", come ebbe a definirle, cioè due ragazze circensi molto giovani e formose che per arrotondare le proprie entrate e più presumibilmente quelle di uno sfruttatore, si prostituivano o venivano prostituite con modalità alquanto insolite e comunque abbastanza occasionalmente. Insomma, pare che si fossero accontentate anche di poco, posto che i due ragazzotti non avevano con sé molto denaro. Mi sentii in dovere di riferire la cosa a mio padre, perché, pur pensando che si sarebbe preoccupato, credevo spettasse a lui decidere se, come e quando affrontare l'argomento con il figlio maschio. Io me l'ero dovuta cavare da sola, accontentandomi delle scarse fonti disponibili tra cui ovviamente non ci fu mai mia madre, alquanto pudica e puritana che, quando avevo quasi undici anni, alle mie domande sul parto rispose che i figli escono dall’ombelico. Ergo: pietra sopra. Ma questo è un altro discorso. Con cautela e pregandolo di non fare poi riferimento all'episodio dell' avventura nel carrozzone di un circo equestre, gli dissi quello che avevo saputo. Mio padre si gonfiò di orgoglio virile e quasi se ne compiacque... Un atteggiamento per altri versi omertoso, da sodale... Mi raccomandò di non dire niente alla mamma. Ne fui sconvolta. Per di più, fosse successo dopo gli anni '80, magari forse quanto meno avrebbe indagato circa l'uso della classica precauzione per difendersi dal contagio più temuto. AIDS... Ma si era solo alla seconda metà degli anni '60 e le malattie a trasmissione sessuale erano ormai quasi tutte e quasi sempre curabili se diagnosticate in tempo. E poi… la ragazza, per quanto già esperta, tanto da procedere disinvoltamente alla iniziazione del ‘cliente’, era giovanissima: a sentire mio fratello probabilmente sua coetanea. La faccenda, quindi, passò sotto silenzio o almeno così mi fu fatto credere. Però servì a dare al maschio iniziato una promozione in campo e di lì a poco gli fu affidato una copia del mazzo di chiavi, a cominciare ovviamente da quella del cancello esterno del palazzo. A me ancora negate. Al rientro dalla scuola ancora mi toccava chiederle al portiere. Persona in cui – mai capito perché – evidentemente mio padre riponeva più fiducia che in me. Anzi una massima fiducia… Le ebbi, le chiavi di casa – finalmente - solo a pochi esami dalla laurea. Dall’avventura nel carrozzone in poi e per vari anni furono molte le ulteriori verifiche di come e fino a qual punto i maschi - purtroppo non solo i maschi - tranne rare eccezioni, considerino un normale, dovuto servizio a pagamento la prestazione della prostituita. Comunque necessario per permettere agli uomini l'esercizio di un diritto. Il diritto a sfogare anche così la loro naturale, insopprimibile ed incontrollabile esigenza sessuale. Anche se in coppia, sposati ma – poverini! – insoddisfatti… Quindi non fu una sorpresa per me, una volta diventata più che matura, sentire mio padre, che aveva preso l’abitudine di confidarsi con la sottoscritta, che mia madre era sempre stata una donna ‘frigida’… Ma questo è un altro discorso. Forse… Quindi, partendo da quanto premesso, questo diritto al sesso a pagamento non dovrebbe essere negato neanche ai disabili. In realtà c'è molto da discutere sulla questione del sesso come diritto. Certamente però le persone disabili oltre che le emozioni, i sentimenti e i desideri hanno corpi che, a parte i limiti dell'handicap, sono esattamente come quelli di tutti. Ma proprio quei limiti sono in molti casi di grande impedimento allo svolgimento di una normale vita sessuale, anche perché risulta difficile in primis e soprattutto quella sentimentale. Tra l'altro l’argomento non riguarda solo i maschi, anche se ha sempre avuto molto più spazio la tesi che il sesso sia un diritto maschile, per cui addirittura si è 'normalizzata' la prostituzione come prestazione lavorativa. Da qui in molte nazioni è stata istituita una figura 'professionale' preposta a somministrare il servizio al disabile. In Europa è già in vigore in Austria, Belgio, Danimarca, Germania, Paesi Bassi e Svizzera. In Italia la faccenda è in progress... Ma non ho dubbi che ci si uniformerà. È molto più facile risolverla così... Invece penso che anche in questo ambito bisognasse da tempo, da molti decenni fa, incidere culturalmente molto più di quanto si sia fatto o tentato di fare: promuovere iniziative, creare spazi e strutture, stimolare scambi relazionali tra disabili e i così detti normali per favorire la dimensione sociale, amicale, affettiva, sentimentale con tutte/i. Il che, dove e quando realizzato, porta con sé anche la possibilità di una attività sessuale tutt'altro che assistita! Nel senso che si creano relazioni a volte talmente stimolanti e coinvolgenti che si può determinare anche attrazione nei riguardi della portatrice o del portatore di handicap. Inoltre il progresso tecnologico avrebbe potuto essere di grande aiuto per l'autoerotismo dei disabili ma evidentemente l'argomento è rimasto per lungo tempo di scarso interesse (economico). Oggi invece, poiché è sempre più in evidenza e alla ribalta la questione e c’è grande forza nel rivendicare il diritto al sesso, ci potrebbe essere un exploit! Pensiamo a Nicholas James Vujicic: nacque nel 1982 a Melbourne e nel 2012 si sposò con Kanae Miyahara. Hanno avuto ben quattro figli. Nick, secondo me, è un grande esempio di ciò che può essere anche la vita affettiva, sentimentale e sessuale di un disabile. Quanto meno di chi non ha deficit mentali molto limitanti. Ma ancora più sorprendente è l’impegno ed il successo che ha avuto ed ha tutt’oggi, da famoso predicatore, direttore di Life Without Limbs, un'organizzazione per persone disabili.. La famiglia ed il contesto sociale non lo aiutarono subito a crescere e vivere con quanta pienezza fosse possibile ad una persona senza arti. Senza entrambe le braccia, e senza gambe eccetto i suoi piccoli piedi, uno dei quali ha tre dita. Inizialmente, i suoi genitori rimasero sconvolti per le sue condizioni ma riuscirono ad accettarlo. Non ha potuto frequentare la scuola tradizionale a causa del suo handicap, come la legge australiana richiedeva. Fortunatamente, durante il suo periodo scolastico, la legge fu cambiata, e Nick fu uno dei primi studenti disabili a frequentare una scuola normale. Imparò a scrivere usando le due dita del suo "piede" sinistro, e un dispositivo speciale che si aggancia al suo grande alluce. Ha anche imparato ad usare un computer e a scrivere usando il metodo "punta tacco" (come mostra durante i suoi discorsi), lanciare palle da tennis, rispondere al telefono e versarsi un bicchiere d'acqua (anche questo mostrato nei suoi discorsi). Ad un certo punto comprese che le sue condizioni erano di ispirazione per molte persone. Un punto chiave della sua vita fu quando sua madre gli mostrò un articolo di giornale che parlava di un uomo che viveva con grandi difficoltà dovute ai suoi handicap. Questo gli fece capire di non essere il solo a vivere con grandi difficoltà. Aveva diciassette anni. Di religione evangelico pentecostale, cominciò a parlare con il suo gruppo di preghiera, e successivamente fondò la sua organizzazione non-profit, Life Without Limbs. Regolarmente viaggia di paese in paese per parlare a congregazioni cristiane, scuole, meetings aziendali. Ha tenuto discorsi a più di due milioni di persone fino ad ora, in dodici paesi di cinque continenti. (Africa, Europa, Asia, Oceania e Nordamerica). E che dire di tante altre persone che hanno dimostrato fino a che punto si può arrivare nonostante gravi handicap come, per esempio, tra le più famose, Frida Kahlo, Franklin Delano Roosevelt, Stephen Hawking, il nostro Alex Zanardi? La vita è un movimento volubile e multiforme, per dirla alla Montaigne. I rapporti affettivi possono essere qualcosa di esplosivo nell'organizzazione sociale. E dunque il diritto s'è proposto come strumento di disciplinamento delle relazioni sentimentali che non lascia spazio all'amore. Ma anche la politica ha contribuito ad anestetizzare i sentimenti. Per il diritto l'amore non esiste. Basti pensare che, nel 1975, quando finalmente arrivò il nuovo diritto di famiglia, che mise fine al modello gerarchico, alle logiche proprietarie subentrarono quelle affettive ma tuttavia anche in quella occasione il legislatore si trattenne di fronte alla parola amore: si parlava di fedeltà, collaborazione, ma non d'amore. Ma si può mettere la parola amore in una legge? Risponde Rodotà: “Qualcuno sostiene: più il diritto se ne tiene lontano, meno lo nomina, meglio è. Però bisogna domandarsi: il diritto non nomina l'amore perché lo rispetta fino in fondo o perché vuole subordinarlo ad altre esigenze come la stabilità sociale? Per un lungo periodo della storia italiana è stato così". Non può esserci felicità senza libertà e amore. Non può esserci felicità senza libertà di amare e di essere amati. Amore per sé, per gli altri, per la Natura, per il Pianeta, per la Vita! Nella nostra Costituzione, diversamente da quella americana, manca il diritto alla felicità, né si menziona da qualche parte il diritto all’amore, essendo viceversa l’Italia una Repubblica fondata sul lavoro, come sancito nell’art. 1 dei principi fondamentali. Lavoro che è diritto/dovere, ovviamente … Però all’art. 3 si legge: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale per il pieno sviluppo della persona umana?! C’è una lacuna in questa affermazione di principio: la lungimiranza avrebbe dovuto suggerire ai nostri padri costituenti che occorreva precisare in dettaglio, magari in uno o più articoli a parte, se non tra i principi fondamentali – se no che principi sarebbero? - a quali ostacoli fa riferimento il dovere di rimozione da parte della Repubblica. Il fatto è che troppo spesso per i rappresentanti del popolo, per i nostri governanti, il primo comma dell’art. 3 è passato e passa inosservato. Come ben sanno, per fare l’esempio più eclatante, le donne che hanno dovuto lottare molto per ottenere leggi migliorative della loro condizione e che attuassero la piena parità e le pari opportunità costituzionalmente sancite. E lottano ancora e su molti fronti. Non è mai bastata la dicitura “di ordine economico e sociale” né per quanto concerne il diritto all’amore né per molti altri diritti, persino quelli sanciti costituzionalmente o in tempi successivi grazie alle durissime lotte di cittadine/i. Ancora molti gli ostacoli reali e di fatto che vengono negati in quanto tali e considerati effetti inevitabili di cause che non riguarderebbero secondo molte/i il diritto dovere di legiferare per eliminarne gli effetti ma hanno a che fare con la coscienza di ciascun individuo, con la natura delle cose, con i ruoli ed i limiti così detti naturali delle persone, per esempio delle donne, tanto per cambiare, ma anche delle e dei disabili, evidentemente… Hanno a che fare con la religione, persino con l’etica! Nonostante l’etica debba o almeno dovrebbe essere fonte ispiratrice di uno Stato di diritto. Non sono drasticamente e ideologicamente contro un iter politico/legislativo che porti ad una regolamentazione di realtà di fatto (come la maternità surrogata o il diritto alla sessualità per i/le disabili) ma auspico la realizzazione di normative che si occupino ampiamente, capillarmente del diritto all’amore di tutte/i. Il che significa innanzitutto massimo potenziamento e miglioramento delle condizioni e possibilità di vivere pienamente tutte le proprie potenzialità. Inoltre, l’amore, quello vero, può essere solo universale. I divorzi lo dimostrano, l’adulterio lo dimostra e lo dimostrano le famiglie allargate, aperte, chiuse, rifatte. Ne sono un sintomo, un segnale. Il crescente amore per la Natura, per gli animali (anche perché adesso è possibile divulgarlo) lo dimostra. Se sembra il momento di ridurci a chiedere di legalizzare nuovi tipi di supporti umani per portatori di handicap ovvero operatrici ed operatori con funzioni di assistenti sessuali, è perché ancora una volta vengono prese in considerazione ‘le pezze a colore’ e si simula progresso, altruismo, bontà ecc. Maledetto ‘buonismo’, come sempre più spesso accade! Si imbrogliano i discorsi, grazie al sotterfugio ‘santificato’ che camuffi con il plauso dei più fragili e loro annessi e connessi invece di risolvere o almeno procedere in quella direzione con impegno e determinazione. In realtà un nuovo mercato si sta aprendo, con giri di affari per nulla trascurabili se si tiene conto del contorno di agenzie di intermediazione e spazi privati. È anche di questo che dobbiamo discutere. Non credo rientri anche questo nel discorso/panacea a proposito di libertà.

  • analisi del voto - contributo dal blog di Laura Cima

    Col 43,79% il centrodestra prende 235 seggi. Col 41,56% il centrosinistra + M5S ottengono 131 seggi. E’ il risultato prodotto dalla vergognosa e antidemocratica legge elettorale Rosatellum voluta da Matteo Renzi che porta il nome di Rosato infatti. E che i successori di Renzi (Martina, Zingaretti e Letta) non hanno mai voluto modificare. Il Pd ha votato no alla prima lettura sul taglio dei parlamentari, perchè stava all’opposizione con Zingaretti. Provvedimento proposto dai 5 stelle che stavano al governo con la Lega. L’approvazione finale alla Camera, avvenuta nell’ottobre 2019, ha visto il voto favorevole del PD appena arrivato al governo un mese prima. Entrambi i partiti hanno promesso il cambio della legge su modello proporzionale e nessuno ha mosso un dito per realizzare la promessa. Neanche Mattarella ha richiamato il Parlamento come sarebbe stato opportuno. Non ho visto nemmeno media, movimenti, politiche e politici autonomi e responsabili, intellettuali ed esperti che ogni giorno che ogni ci tormentano nei talk show insistere per il cambio dovuto della legge elettorale. Questa è la premessa che va fatta prima di qualsiasi analisi del voto. La valutazione politica dell’astensionismo deve tenere conto degli effetti perversi di questa legge improponibile, che ancora oggi, 4 giorni dopo il voto non permette di sapere chi è stato eletto, perchè il riconteggio dei resti saltella da un collegio all’altro. I collegi ridisegnati di tutta fretta prima del voto non hanno permesso a me, ai trentini e ai valdostani di votare il plurinominale al Senato perchè non c’era. Quindi non solo non abbiamo potuto dare preferenze ai candidati come in tutta Italia, ma neppure scegliere il partito. I votanti uomini e donne sono 63,90% e quindi più del 36% si è astenuto. Le donne che non hanno votato sono più del 40%. Un milione 309mila le schede nulle e bianche. E questi sono effetti della disaffezione alle attuali forze politiche che si dichiarano democratiche e progressiste e non lo sono proprio per averci costretto a votare con il Rosatellum e portato avanti, quando erano al governo, obiettivi non democratici e non partecipativi, adeguandosi in modo opportunista anche dall’opposizione, a interessi corporativi e di potere. Il maschilismo che ha continuamente imposto uomini di potere politicamente incapaci, mai usciti dai palazzi e non in grado di capire cosa succedeva nei loro territori perchè troppo impegnati nelle loro correnti e nei loro giochi, e che ha ridotto a gregarie incapaci di autonomia le politiche reclutate, e fatte fuori quelle che potevano diventare “pericolose” è uscito inaspettatamente nell’ultima puntata di mezz’ora in più su Rai3, quando Ritanna Armeni ha smosso anche l’Annunziata a chiedere a Letta, dopo aver ascoltato lui e Elly Schlein, che le lasciasse il posto e perchè non l’aveva fatto prima. Bisogna dire che anche le donne che abbiamo promosso alla rai come direttrici, insieme alle reti di pari opportunità, non hanno mostrato un coraggio diverso dagli uomini, proprio come le politiche al governo e in parlamento, zitte e fedeli, salvo rare eccezioni. Sono curiosa di sentire il seminario Virginia Woolf, proposto da Alessandra Bocchetti e Franca Chiaromonte della generazione sessantottina come me, cosa ci denuncerà e ci proporrà in merito. E le poche ecofemministe più giovani che stavano in parlamento e in maggioranza, e oggi sono all’opposizione o non rielette come si organizzeranno. Poche di loro ci hanno detto di condividere totalmente il nostro decalogo ma poi in campagna elettorale non l’hanno citato, nè l’hanno diffuso nelle loro formazioni politiche. Vediamo se l’utilizzeranno ora, o come pensano di coinvolgere le tante donne che non si sentono più rappresentate da loro nelle istituzioni. Sono certa che nè la Meloni nè le altre donne della maggioranza, e tantopiù quelle che andranno al governo, lo leggeranno e lo considereranno nonostante noi l’avessimo indirizzato anche a loro. Sono altrettanto certa che noi, con i movimenti che fanno riferimento alle lotte che da decenni portiamo avanti nel nostro paese, saremo sempre più motivate. Mandateci contributi e analisi generali e territoriali. Mai come ora dobbiamo individuare insieme le nostre priorità e smettere di farci influenzare dal patriarcato imperante non solo in Iran, Afghanistan, Russia, Cina, India, Turchia, Egitto e ovunque ci sono dittature più o meno mascherate, ma, purtroppo anche nel nostro paese, dove oggi il re non potrebbe essere più nudo di così.

  • contributo da un territorio - Laura Incantalupo

    Questo è il tentativo di essere ascoltata di un’elettrice di sinistra dopo le elezioni politiche del 25 settembre 2022 ed è anche l’espressione di una flebilissima, ormai quasi inesistente, speranza che dirlo per l’ennesima volta serva a qualcosa. Non sarò breve perché presto e bene raramente vanno d’accordo. Preciso subito che non mi interessa parlare della destra e che in quel campo includo Italia Viva ed Azione, che se avessero voglia davvero di fare politica si rimboccherebbero le maniche e si prenderebbero quel campo di destra liberale ed europea perché gli appartiene insieme a Forza Italia e caccerebbero la destra estrema che al momento lo occupa, secondo me abusivamente, nell’angolo in cui dovrebbe stare. La colpa non è di chi ha preso i voti ma di chi non li ha presi e non ha saputo e/o voluto portare la gente al voto. Dico anche voluto perché sono convinta che una parte della classe politica, trasversalmente, preferisca l’astensione alla lotta per aumentare la partecipazione, un po’ per mediocrità e un po’ perché questo livello di partecipazione gli permette di restare nella sua zona di comfort. Piccolo preambolo sulla guerra: la maggioranza degli italiani è contraria all’invio di armi e non si può pensare di togliere l’IVA sulle armi, dire che non ci sono i soldi per le bollette, portare al 2% del PIL le spese militari e poi prendere i voti da sinistra. Così i voti li prende la destra non la sinistra. Tutto inizia con la caduta del #governodeimigliori (amici di Confindustria secondo me). Nessuno ha fatto cadere il governo Draghi che non è mai stato sfiduciato. Da non elettrice del M5S vorrei fare una domanda a tutti coloro che gliene imputano la responsabilità: se nel decreto aiuti invece dell’inceneritore di Roma si fosse messo lo ius scholae la Lega lo avrebbe votato? Ovviamente no. Si tratta di battaglie identitarie per questi partiti quindi chiunque voglia fare il Presidente del Consiglio toglie l’inceneritore dal decreto aiuti e lo mette in un altro decreto in modo che l’aiuti passi. Successivamente mette l’inceneritore in un nuovo decreto, che passa comunque, perché dopo la scissione, secondo la mia opinione propiziata sia dal PD che da Draghi, il M5S non può più dare troppi pensieri al Governo e il Governo non cade; ma c’è un ma, anzi due: il Presidente Draghi voleva andare al Colle e lo fece chiaramente intendere nella sua conferenza di fine anno in cui disse che si poteva proseguire sulla strada da lui tracciata anche senza di lui, il discorso del “nonno al servizio delle Istituzioni” e, in secondo luogo, il Presidente Draghi più di chiunque altro sapeva quale macelleria sociale stesse arrivando e quale danno la sua sudatissima (e non è ironico) immagine di uomo capace di risolvere qualsiasi problema ne avrebbe avuto, quindi ha preferito farsi da parte. La famosa “agenda Draghi”, sposata dal PD e da Calenda e Renzi (furbo a mandare avanti l’altro ma peggio per lui che se n’è fidato): tutti i media mainstream parlavano di Draghi con un consenso al 48% dei votanti ma con un’astensione del 40% significa che Draghi ha il consenso di meno del 30% degli italiani. Cioè il 70% varia da: ‘non è il mio riferimento’ a ‘lo detesto’ con una maggioranza del secondo tipo. Se non si capisce questo forse chi sceglie le linee politiche dovrebbe fare altro e non perché lo dico io ma proprio perché ci sono arrivata io e non loro. Questo posizionamento, inoltre, se è perfettamente comprensibile per il duo Renzi Calenda, che stanno alla sinistra come una laureata in lettere ad indirizzo pedagogico sta al Ministero dell’economia, non lo dovrebbe essere affatto per un partito come il PD, che vorrebbe farci credere di essere di centro-sinistra ed è stato un regalo che Giorgia Meloni non si sarebbe aspettata nemmeno nei suoi sogni più rosei. Secondo YouTrend al 15 gennaio 2021 Fratelli d’Italia era al 16,3% (il massimo da quando era nata). Parlando dei programmi dal PD a SI/EV e al M5S sino ad Unione Popolare c’erano diversi punti in comune. Il partito più grande era ovviamente il PD e il programma, che non erano le magnifiche sorti e progressive ma non era male, era totalmente privo di credibilità perché le battaglie per il lavoro buono e tutelato, per la scuola pubblica e per la sanità pubblica, per il diritto all’aborto sicuro e gratuito (si è un diritto), contro le mafie, per il salario minimo e ocntro il gender gap non si fanno in campagna elettorale, si fanno prima, parecchio prima; poi magari si perdono ma gli elettori vedono che le si è fatte e se ne ricordano (a proposito di credibilità: nel 2018 sempre FdI era al 4%). Non si può approvare la riforma fiscale di Draghi che premia chi guadagna di più e poi andare a chiedere i voti a chi guadagna di meno. Togliere il cashback è stato un errore epocale, non tanto per quel poco che se ne poteva trarre ma per il messaggio che è passato: non ci importa niente di combattere l’evasione fiscale e questo vale per tutti quelli che l’hanno votato. La dote ai diciottenni poi è una stupidaggine assoluta. Si usino quei soldi per garantire il diritto allo studio a tutti invece di garantire una dote anche al ragazzo milionario che magari vuole fare scelte diverse da quelle che vorrebbe la famiglia. Se la coperta è corta si copre chi ha più freddo. Sempre a proposito di credibilità mi sono sentita persino dire “Renzi noi lo abbiamo mandato via”; quando? Renzi non è stato mandato via ma se n’è andato lui, dopo aver diligentemente completato la sua opera di devastazione e comunque non è servito a niente se poi non ci si è battuti per abolire le sue leggi. Allo stesso modo mandare a casa Berlusconi non serve se non abolisci le leggi-vergogna contro le quali mi hai portato in piazza e non fai una vera legge contro il conflitto di interessi (che non riguarda solo lui per altro); così come mandare a casa Salvini non serve se non abolisci i decreti sicurezza. Devi farla la battaglia se vuoi essere credibile; magari la perdi ma io mi ricordo che l’hai fatta invece nè il PD né LeU né il M5S e hanno fatte queste battaglie durante il Conte 2. Vogliamo poi parlare dell’allarme fascismo? Da sestese posso solo dire: dopo averci abbandonati alla destra solo due mesi fa con che coraggio ci venite a chiedere i voti contro quella stessa destra? Con che coraggio! Con un candidato renziano che ha visto il confronto elettorale trasformarsi, non certo per sua volontà ma perché nelle condizioni date era inevitabile, in un confronto tra padri: il padre sopravvissuto ad Auschwitz contro il padre fascista convinto sino alla morte. Uno scontro di cui purtroppo, e non senza responsabilità di tutto il campo antifascista, ai cittadini angosciati dall’emergenza economica importa zero. Se dopo quello che era accaduto si voleva dare un segnale di credibilità almeno in questo collegio così simbolico ci voleva una candidata giovane, non paracadutata e di sinistra, che parlasse di scuola pubblica, già al collasso prima e devastata da due anni di pandemia, di sanità pubblica, già ridotta al lumicino prima del CoViD in una regione dove se non paghi non ti curi in tempi ragionevoli e di lavoro buono che è ormai più raro dei famosi panda, soprattutto per i giovani e chiarendo dall’inizio che non era interessata al padre della signora Rauti. Non conosco le disponibilità ma credo che il PD almeno una ce l’avesse. Magari non avrebbe sconfitto la signora ma si sarebbe giocata la partita. Così si combatte l’allarme fascismo se davvero si crede che ci sia il rischio e se proprio non ci si vuole alleare con chi ha almeno il 10% dei voti (che poi si è dimostrato essere il 15,4%). Questo chiede la legge elettorale che non solo ha fatto anche il PD ma non ha nemmeno cercato di cambiarla. Il richiamo all’antifascismo è stato lanciato ad ogni elezione negli ultimi anni, salvo poi dimenticarsene il giorno dopo e con una parte di quella destra farci i Governi. Un simile comportamento sminuisce il valore stesso dell’antifascismo e questa è una responsabilità enorme di chi lo ha attuato nel centro sinistra. Ultimo ma non meno importante: le candidature. Me lo ricordo molto bene l’appello accorato e totalmente inascoltato dei dirigenti del PD di Bologna per non avere Casini. In cambio gli hanno messo Civati così Pippo non è stato eletto e Casini si. Ora qui in Lombardia ci saranno le regionali e sento ancora parlare di Cottarelli. Davvero? O magari qualche altro renziano? Ma volete perdere per forza, cioè ci tenete proprio! Beh io no perché vorrei potermi curare in tempi ragionevoli, vorrei vedere il diritto all’aborto garantito, le case popolari manutenute e assegnate, vorrei vedere una politica ecologista che non sia “compratevi l’auto elettrica” che costa uno sproposito, vorrei un trasporto pubblico locale funzionante ed accessibile, vorrei che le scuole private se le pagasse completamente chi se le sceglie. Capisco benissimo che le campagne elettorali costano e come tutto questo sia incompatibile col finanziamento privato alla politica, perché difficilmente si riceveranno finanziamenti privati combattendo il profitto sulla sanità e la precarietà sul lavoro o combattendo per la scuola pubblica e contro le mafie ma chi è causa del suo mal pianga se stesso. Tutti i partiti, archiviando la questione morale come un vecchio arnese, hanno screditato le Istituzioni Repubblicane portando i cittadini a considerarle solo un costo invece che una garanzia per tutti. Cosa penso si dovrebbe fare? Credo che il PD dovrebbe essere lasciato al suo ineluttabile destino democristiano (centrista per i più giovani) e lo dico con dispiacere, soprattutto per la stima e l’affetto che mi lega ad alcuni dei suoi dirigenti e che tutto ciò che è a sinistra del PD ma proprio tutto, dovrebbe pretendere le dimissioni dei suoi dirigenti - a prescindere dalla loro età - da qualsiasi incarico per lasciare spazio a persone nuove, non per forza giovani ma nuove nella politica e ugualmente che i primi siano disponibili a restituire a questo paese un po’ del molto che ne hanno ricevuto. Si mettano da parte pronti a dare una mano senza pretendere nulla in cambio. La sinistra si metta in cammino e, esattamente come la destra di Italia Viva ed Azione avrebbe un lungo cammino davanti per conquistarsi quello spazio che gli appartiene anche la sinistra ha un grande lavoro da fare per costruire qualcosa che abbia senso, prospettive e credibilità. Non voglio più sentire i ragazzi dire che se ne vogliono andare perché questo paese non ha futuro. Voglio lavorare con chi ci crede per darglielo un futuro ma non sono disponibile a farlo con chi questo disastro annunciato ha propiziato con la propria miopia, i propri piccoli orticelli, la propria totale inconsapevolezza delle difficoltà dei cittadini normali e vorrei che chi invece si è battuto inascoltato perché questo disastro non avvenisse fosse finalmente ascoltato. Probabilmente tutto il tempo impiegato a scrivere questi pensieri è stato inutile ma lo dovevo innanzitutto a me stessa e poi a tutte le persone con le quali ho discusso e dalle quali mi sono sentita dire che so solo criticare come a dire che dircelo tra noi non serve. È vero, avete ragione, non serve e quindi io provo a dirlo pubblicamente, se ci riesco. Io non me ne vado!

  • cosa vogliamo

    clicca qui per ascoltare il file audio del post DECALOGO ECOFEMMINISTA PER UN BUON GOVERNO Ci rivolgiamo alle donne e agli uomini che disertano il patriarcato e che, in tutte le formazioni che si presenteranno, vorranno il voto di tante donne (e anche uomini) che da tempo si astengono perché non rappresentate. Siamo interessate a ricevere le vostre considerazioni e continueremo il confronto durante la campagna elettorale. Abbiamo vissuto due anni di pandemia e pensiamo che qualsiasi emergenza possa essere gestita attraverso responsabilità condivise tra istituzioni e cittadinanza, con le pratiche dell’informazione e della partecipazione senza ricorrere a forme autoritarie che non hanno alcuna utilità nella gestione dei bisogni concreti e inducono invece paura e diffidenza. Questa è l’ora di un cambio di paradigma, richiesto anche dagli obiettivi trasversali dell’Agenda ONU 2030, ratificati dall’Italia e ispirati dalla Piattaforma di Pechino del ’95, ancora vigente, le cui finalità sono riprese nel Piano NGEU e nei PNRR nazionali e soprattutto nella nostra Costituzione. Vogliamo affermare quello di cui le donne sono esperte: relazioni eque tra le persone nel rispetto delle differenze, una società della cura, l’abbraccio alla Madre Terra e alle specie che la abitano. Il cognome materno ai figli e alle figlie ne è l’attuazione simbolica e reale a un tempo. Tutto questo ha bisogno di un Parlamento in cui l’esperienza delle donne trovi ascolto e spazio per poter contribuire ad una politica capace di rispondere alle esigenze reali, con un governo democratico ed ecologista, attento alle donne e alle giovani generazioni, piuttosto che impegnato a riprodurre caste e perseguire interessi di lobby. Diventa prioritario ora pensare a un nuovo modo di abitare il mondo e utilizzare le risorse, a nuove regole di convivenza. Noi ecofemministe in questa prospettiva ci stiamo impegnando da decenni. Voteremo chi ha la stessa nostra urgenza e lavorerà con noi per realizzarla. I nostri propositi di buon governo: 1. La cura come stile politico complessivo e il riconoscimento concreto e formale del lavoro di cura, che venticinque anni fa a Pechino l’Italia si impegnò a conteggiare nel PIL, per ritrovare nelle politiche di spesa pubblica la necessaria e dovuta attenzione alle priorità delle donne e delle famiglie, ovvero dell’intera società nella quotidianità e concretezza dell’esistenza. Il BES (Benessere equo e sostenibile) va considerato nella sua interezza a integrazione del PIL (Prodotto Interno Lordo) come riferimento per le politiche, perché è il benessere, in tutte le sue forme, a dover essere garantito. Ne discende la Valutazione di impatto di genere (VIG) dei progetti ex ante ed ex post, la doverosa impostazione di statistiche disaggregate per sesso e la necessità in particolare del punto di vista ecofemminista nelle ricerche e nelle raccolte di dati. 2. Il lavoro, che la Costituzione mette a fondamento della Repubblica deve essere garantito a tutte e tutti con adeguata remunerazione e in condizioni che consentano ogni giorno, insieme al tempo per il riposo e per la libertà personale, un tempo per la manutenzione e la cura degli ambienti e delle relazioni, superando il modello sessista della divisione dei compiti. Va garantito il tempo per figli e figlie ma anche per essere figli e figlie, amici e amiche, persone solidali nei piccoli/grandi collettivi umani dentro i territori in cui viviamo. Il tempo per la cura di sé, degli affetti, degli ambienti, per lo sviluppo della propria cultura e dei propri talenti deve diventare l’orizzonte in cui ripensare tutto il lavoro anche attraverso l’uso responsabile delle nuove tecnologie soprattutto nell’ambito del digitale. Nella transizione, legislativa e contrattuale, che muta l’organizzazione sociale, il lavoro gratuito di cura nelle case e nelle famiglie, che i dati evidenziano erogato prevalentemente dalle donne, va considerato da subito nella messa in atto di forme di finanziamento dei servizi anche attraverso dispositivi economici di facilitazione nel rapporto tra bisogni dell’utenza e bilanci delle istituzioni. 3. La transizione ecologica e il contrasto alla catastrofe climatica, a cui da tempo le ecofemministe lavorano per garantire la continuità della vita sulla Terra, si attuano con la bonifica dei siti inquinati e delle acque, l’economia circolare, le fonti rinnovabili, il riciclo e il riuso, il trasporto e la mobilità non inquinante, la riduzione drastica di emissioni CO2 e polveri sottili, la messa in sicurezza dei nostri territori sempre più minacciati dagli eventi climatici e dalla mano pesante dell’economia, la promozione dell’agroalimentare sano e dell’etichettatura corretta insieme alla tutela degli animali e all’eliminazione degli allevamenti intensivi. Siamo impegnate da anni a chiedere la fine dei sussidi al settore petrolifero e ai combustibili fossili, l’eliminazione delle plastiche, lo stop alla cementificazione e all’industria delle armi. La salvaguardia dei beni pubblici, a cominciare dall’acqua, del paesaggio e degli animali con una seria e programmata politica incentrata sulla manutenzione dell’esistente, la salvaguardia della bellezza e della ricchezza del paesaggio naturale e della biodiversità, del nostro patrimonio storico, artistico, culturale che non solo crea lavoro – soprattutto per donne e giovani (donne e uomini) –, ma qualifica il nostro territorio e la sua capacità di accoglienza, lo rende complessivamente più protetto, più bello, più accessibile e fruibile (Convenzione di Faro). La cura, la messa in sicurezza, la manutenzione, la protezione del territorio, fermandone il consumo per attività speculative, il contrasto al dissesto idrogeologico sulle coste e nell’interno, la difesa delle spiagge e degli arenili, la riqualificazione urbana a partire dagli edifici pubblici, scolastici e residenziali, un piano di investimento nell’edilizia pubblica agevolata per realizzare il diritto alla casa, la modernizzazione delle infrastrutture di mobilità pubblica ora inefficiente, i collegamenti interni, tra regioni e con gli altri Paesi sono ambiti importanti per la creazione di qualità di vita e di lavoro, di democrazia partecipata. Vanno fermate le “grandi opere”, inutili per le comunità, invasive per l’ambiente, colpevolmente onerose oltre alle svendite, le privatizzazioni, i tagli ai beni e servizi pubblici. Va messa in atto una “nuova pedagogia dell’abitare” che, a partire dalla prima infanzia, alimenti relazioni di rispetto e di convivenza con tutti gli esseri viventi nella delicata rete di connessioni che formano l’ecosistema. 4. La salute pubblica, non più tutelata da un SSN messo in crisi dalla pandemia, va salvaguardata con servizi territoriali adatti alle nuove esigenze, con un nuovo progetto per i Consultori Familiari, da anni oggetto di depauperamento progressivo, con la diffusione del co-housing (co-abitare), come nuova frontiera dell’abitare collaborativo in luogo delle RSA, con la prevenzione, diffusa sul territorio, delle pandemie e delle malattie da inquinamento, con lo sviluppo delle cure domiciliari che evitino il ricorso frequente alle ospedalizzazioni. Va assicurato il diritto all'accesso alla sanità pubblica finanziata nella misura sufficiente a garantire in maniera uniforme sull'intero territorio nazionale il blocco dell'esternalizzazione, l'efficienza tecnologica, il numero adeguato di posti letto e la realizzazione delle attività socio-sanitarie territoriali per la prevenzione, la diagnosi e la cura e per la gestione domiciliare delle malattie cronico degenerative. 5. Nascere bene è il primo diritto che società e Stato devono garantire. Il modello assistenziale di cura alla donna è negativamente impregnato di pregiudizi che ostacolano il cambiamento culturale verso scelte consapevoli e autonome in tema di salute femminile riproduttiva e sessuale. Nel rapporto dell’assemblea generale delle Nazioni Unite del 2019 la violenza ostetrica è stata riconosciuta come una violenza dei diritti umani di salute riproduttiva che scaturisce da pregiudizi e stereotipi sulla maternità e sul ruolo della donna. In Italia la violenza ostetrica non è reato, mentre la medicina e le cure per le donne non sono ancora regolarmente praticate. La salute sessuale e riproduttiva e le scelte connesse devono essere rispettate e garantite dal momento della nascita fino alla menopausa. Contraccezione, aborto ed esami ed eco in gravidanza devono essere realmente a disposizione gratis nei Consultori. Il personale sanitario tutto sia formato alla medicina di genere. Nascere bene è una questione di libera scelta della madre che incide anche sulla vita futura di chi nasce. Va affrontata la piena attuazione della Legge 194 anche attraverso normative che consentano solo a personale infermieristico e medico non obiettore di partecipare ai concorsi pubblici. Va assicurata la possibilità di adozione per persone singole e coppie di fatto, indipendentemente dal sesso e dall’orientamento sessuale, fatte salve semplicemente le condizioni di idoneità genitoriale. 6. La violenza sulle donne non è disgiunta dalla violenza sull’ambiente; l’uomo ha infatti concepito la donna e la natura come “a sua disposizione”. Ora che le donne affermano e praticano con più determinazione la loro soggettività, femminicidi e altri crimini sessuali si intensificano. Condanniamo ogni forma di mercificazione del corpo femminile. Chiediamo la piena applicazione della Convenzione di Istanbul contro la violenza maschile sulle donne e la violenza domestica anche nel rispetto dei richiami del GREVIO. Trattandosi di un fenomeno culturale è necessaria la formazione e informazione di operatori ed operatrici insieme a: sospensione della potestà genitoriale per chi agisce violenza; braccialetto elettronico; allontanamento immediato dalla dimora che va preservata per la donna; lavoro costante per abolire il fenomeno della prostituzione, con conseguente difesa della Legge 75/1958 (Legge Merlin); introduzione del modello nordico che prevede punibilità dei clienti e sostegno alle donne per uscire dal sistema prostituente; abrogazione della Legge 54/2006 sulla bigenitorialità imposta, per la quale centinaia di minori sono stati strappati da madri che hanno denunciato il padre per violenze e abusi sessuali; formazione e informazione, insieme ad attenzione costante delle istituzioni, per impedire l’utilizzo in forme subdole della PAS, o sindrome di alienazione genitoriale, (già dichiarata inesistente sul piano scientifico) nei tribunali, a danno delle donne e dei figli/e. E’ l’ora anche di aiutare e risarcire le donne vittime delle mafie e di maggiori investimenti e maggiore diffusione del protocollo “liberi di scegliere” che permette alle madri, mogli di boss mafiosi, di strappare se stesse ed i loro figli ad un destino già scritto. 7. Una nuova politica sull’immigrazione per fermare le morti dei migranti e delle migranti in mare, sui confini europei e nei lager libici, gli stupri e le violenze sulle donne “bottino di guerre” è un tema urgente. Non è più tollerabile una narrazione delle migrazioni come invasioni e come problema di sicurezza. Le leggi, le normative e i Memorandum che attualmente regolamentano l’immigrazione devono essere modificate in base ad una politica umana e civile che salvaguardi le vite, in accordo con l’UE, abolendone alcuni, come gli accordi con la Libia e i decreti vigenti. E’ l’ora di promuovere realtà virtuose di accoglienza e inclusione sociale e lavorativa dove i/le migranti possano vivere in armonia e crescere con le comunità che li accolgono. Vanno riviste regole e criteri per l’acquisizione della cittadinanza con forme di automatismo per chi nasce in Italia. 8. Riforme e investimenti per la Scuola Pubblica, per uscire da un modello patriarcale di gerarchia imposta e di competizione nella consapevolezza che le future cittadine e i futuri cittadini hanno il diritto di ricevere la migliore educazione in luoghi adeguati e con un ordinamento scolastico che rispetti ed attui le indicazioni nazionali e le linee guida esistenti che puntano ad una cittadinanza consapevole, attiva e perciò responsabile lungo tutto l’arco della vita non sono più procrastinabili. L’educazione al pensiero critico ed un uso responsabile delle tecnologie e dei social media si rivela fondamentale inoltre per contrastare atteggiamenti di omologazione, bullismo, violenza e sviluppare la cittadinanza digitale consapevole. 9. Fisco Vanno attuate con determinazione la lotta all’evasione fiscale e le riforme che ne riducano la possibilità concreta la riforma fiscale per un’equa e progressiva distribuzione del prelievo sui redditi come previsto dalla Costituzione la tassazione sui grandi patrimoni e lavoro per accordi internazionali contro le fughe di capitali nei paradisi fiscali il recupero dei finanziamenti accordati ad aziende che hanno delocalizzato l’attività in altri Stati con la finalità di aumento dei profitti e sfruttamento di lavoratori e lavoratrici. 10. Spese militari Siamo nonviolente e da sempre vogliamo che la guerra esca dalla Storia. Il dialogo, basato sul confronto e sul rispetto reciproco alla base delle relazioni etiche e femministe deve essere strumento di pace nei conflitti anche e soprattutto armati. In questa direzione va la richiesta di un sistema di difesa europeo. Occorre un piano di riduzione degli investimenti sugli armamenti e per la riconversione delle aziende produttrici insieme a una riqualificazione dell’esercito come forza di gestione nonviolenta dei conflitti.

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