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  • Writer's pictureSilvana Campese

Il futuro ci riserva una vita da niente


Per me l’obiettivo primario, la priorità assoluta rispetto a tutte le altre, per quanto importanti e da me stessa perseguite lungo un arco di tempo lunghissimo, è da vari anni la lotta all’inquinamento ed al conseguente cambiamento climatico. La creazione di un gruppo capace di concepire ed attuare un ragionevole e realistico piano di lotta, fu il motivo per cui mi misi in contatto con Laura Cima, che ne proponeva la formazione in un momento particolarmente delicato della vita politica italiana, in vista delle elezioni del 25 settembre 2022. Il gruppo si è chiamato Ecofemminismo e sostenibilità e in tempi brevi ma laboriosi e fertili fu scritto il suo Decalogo Ecofemminista per un buon Governo.


Il futuro ci riserva una vita da niente. Questo non è solo l’interessante punto di vista di un giovane e brillante pensatore, Leonardo Caffo, il quale rientra di diritto nella schiera dei così detti apocalittici, intersecando filosofia e statistica, spazio, tempo e capacità di reazione dell’uomo al cambiamento. Il suo punto di vista è sostanzialmente anche il mio, con la differenza che io non lo vivrò, quel futuro, ma la cosa, lungi dal consolarmi mi annienta perché a viverlo saranno figlia e nipoti e tutte/i le/i loro coetanee/i. La mia sofferenza è anche quella di molte persone anziane che, come me, sono particolarmente attente ed informate a proposito delle emergenze ed urgenze che le politiche nazionali, europee, mondiali avrebbero dovuto affrontare da mezzo secolo o almeno negli ultimi vent’anni mentre solo ora mostrano di prendere in considerazione – almeno in teoria – e tentare un minimo di dimestichezza con le gravi problematiche che dovrebbero invece affrontare subito e globalmente. Sono pessimista? Catastrofista ed apocalittica? Non credo proprio. Semplicemente da vent’anni e più non faccio che invitare a guardare il famoso bicchiere per quello che è: in frantumi! Altro che mezzo pieno! Non a caso il mio ultimo libro edito l’anno scorso con il titolo “Memorie dal futuro” è stato definito romanzo distopico… In realtà sono da decenni dolorosamente consapevole del fatto che di anno in anno non si poteva e non si potrà che peggiorare. C’è chi parla di apocalisse, di fine del mondo già in pieno svolgimento. Come Caffo io credo che sia in atto la fine di questo mondo, nel senso che ci saranno una valanga di eventi distruttivi al punto tale che, di tutte le cose che conoscevamo e di come le conoscevamo ci si dimenticherà. Eventi che nei tempi andati venivano relegati ai territori del terzo mondo, lontani, affamati e barbarici. Tanto per incominciare, i cambiamenti climatici che già sono vistosamente in atto con effetti disastrosi, non daranno tregua a chi vivrà nel prossimo futuro. Le guerre per l’acqua sono una previsione unanime. I combustibili fossili che inquinano il mondo sono un enorme e generoso viatico per le pandemie, oltre che distruttori di enormi ricchezze ambientali. Solo se si comprenderà che l’economia deve cedere davanti alle urgenze legate alla sopravvivenza delle specie, non ultima ovviamente la nostra, sul pianeta, sarà possibile sperare in un recupero parziale della vivibilità. Da vari anni gli scienziati dell’IPCC (foro scientifico intergovernativo sul cambiamento climatico formato nel 1988) hanno definito una serie di tipping point per il riscaldamento globale, vale a dire dei punti di non ritorno oltre i quali sarebbe stato impossibile mantenere “lo stato del clima”. O più precisamente, oltre i quali si sarebbero innescati profondi e irreversibili cambiamenti con effetti a cascata su tutto l’ecosistema terrestre. Chiedevano un’azione urgente per ridurre le emissioni di gas a effetto serra e prevenire in questo modo il superamento dei tipping point. Tra essi quelli che riguardavano il ghiaccio marino artico, la calotta glaciale della Groenlandia, le foreste boreali, il permafrost, l’AMOC o Capovolgimento meridionale della circolazione atlantica, la foresta pluviale amazzonica, i coralli di acqua calda, la lastra di ghiaccio antartica occidentale, parti dell’Antartide orientale ed altri ancora. La fusione delle calotte glacialiinfatti sta portando ad un aumento irreversibile del livello dei mari (si parla di 10 metri e oltre!); la riduzione delle foreste pluviali e foreste boreali, invece, sta provocando il rilascio di ulteriori gas serra amplificando il riscaldamento. Sebbene i futuri punti di non ritorno e l’interazione tra di essi siano difficili da prevedere, gli scienziati sostengono che “se dovessero verificarsi stravolgimenti dannosi a cascata, non è possibile escludere un tipping point globale, una minaccia esistenziale alla civiltà. Nessuna analisi costi-benefici ci aiuterà!” Ergo: da un pezzo avremmo dovuto cambiare il nostro approccio al problema. Invece… Invece posso ben condividere senza se e senza ma le parole a suo tempo pronunziate da Noam Chomsky per il quale la pandemia di Covid (cui altre purtroppo seguiranno) era la meno grave delle crisi che vivevamo (e che viviamo…) Chomsky diceva infatti che siamo in uno stato di emergenza permanente che è molto più grave della pandemia, molto più serio. Si tratta della minaccia della catastrofe ambientale globale. Gli oceani e l’atmosfera si stanno surriscaldando, le calotte glaciali si stanno sciogliendo. Siamo ormai in una emergenza che fa sembrare tutte le altre marginali. Da anni ed anni avremmo dovuto controllare l’ambiente. Invece… Invece ormai stiamo raggiungendo un punto in cui la catastrofe sarà irreversibile e la società umana organizzata scomparirà, insieme a milioni di altre specie che stiamo distruggendo. Questa è la più grande crisi della storia umana. Doveva e oggi più che mai deve essere affrontata in modo cooperativo, non conoscere confini, tantomeno sopraffazioni internazionali e guerre! Invece… Invece siamo sopraffatti da un’altra emergenza: la minaccia di una guerra nucleare e si continuano a sviluppare nuovi armamenti estremamente pericolosi, ad armarsi ed armare altri di tutto punto…

E’ possibile realizzare una grande unità tra donne di varie forme della politica? Tale da opporsi efficacemente alla politica istituzionale e operare il cambiamento urgente e non più procrastinabile? Questi quesiti fanno subito riemergere l’eterno, mai risolto conflitto che mi porto dentro e del quale più volte ho scritto a proposito del mio sentirmi ‘diversamente nemesiaca’ sin dal momento in cui, dopo un periodo di frequentazione del Centro Donna di via Cilea al Vomero (primi anni ’70) e quindi di manipoli di femministe aggregate in collettivi, decisi di entrare nel gruppo fondato da Lina Mangiacapre/Nemesi. Il conflitto nasceva principalmente a causa del mio vissuto familiare e sociale ma più ancora della mia formazione scolastica ed universitaria. Non si è mai placato del tutto e mi accompagna ancora, con le sue contraddizioni ed i suoi dubbi perenni. Intrapresi con passione la militanza ‘nemesiaca’, che di militante rispetto alla ortodossia femminista di allora aveva poco o niente, a parte la scelta di separatismo. Al Centro Donna Si parlava già dai primi incontri di SORELLANZA! Si cercava di agire in una dimensione degna del MOVIMENTO! Ovvero di quella straordinaria mobilitazione generale di donne provenienti da o ancora appartenenti a varie formazioni politiche, partitiche o extraparlamentari, unite in un altrettanto generale desiderio di lotta e rivolta. La maggior parte delle quali erano in collettivi decisamente separatisti. Ma fu ed è proprio il separatismo a suscitare in me le fatidiche domande: l’unità tra donne di varie forme della politica è realisticamente conciliabile con la scelta di separatismo? Ed il separatismo aveva (e potrebbe ancora avere) il senso, la prospettiva e soprattutto la forza aggregante che tuttora gli si attribuisce, spesso abbastanza enfaticamente, in una fase quale quella che stiamo vivendo? In cui il risultato attuale per quanto attiene agli obiettivi della rivoluzione femminista (neo-femminismo anni ’70) è, secondo me, di evidente e fallimentare destrutturazione? Non a caso mi servo di questo termine – destrutturazione - per lo più riferito ad azioni di scomposizione o abbandono di una qualche struttura. Infatti molto dell’enorme e pluristratificato patrimonio politico/culturale prodotto, costruito e conquistato dal femminismo separatista in un paio di decenni epocali, è stato smantellato nei decenni successivi o, peggio ancora, saccheggiato, revisionato, mistificato. Principalmente ad usum di fini di seduzione fallica, comunque elettorali. Non solo dal potere politico/istituzionale/patriarcale e dai partiti di sinistra ma anche come conseguenza del black out di memoria storica, di cui le stesse femministe sono in parte responsabili, già a partire dalla fine degli anni ’80 e più ancora dai ’90. E non certamente al fine di procedere ad una ristrutturazione su nuove basi, più realistiche, in una visione più pragmatica del rapporto con potere ed istituzioni ecc. ecc. e quindi tendente ad una riorganizzazione magari e finalmente in piena attuazione dei principi costituzionali e nella gestione politica, amministrativa ed economica del territorio e delle popolazioni che lo abitano. In primis il popolo delle donne, che non è una etnia ma la famosa ‘altra metà del cielo’… Va da sé che per quanto mi riguarda, grande merito, nel percorso di liberazione personale va all’incontro con Nemesi e alla pratica femminista nel e con il gruppo delle Nemesiache soprattutto come artista e scrittrice. Ma anche e forse soprattutto va proprio al mio percorso formativo che mi diede strumenti di analisi, di logica, di esigenze profonde di carattere intellettuale, come l’onestà, il coraggio e l’umiltà, custodendole in fondali dai quali emergere in superficie per sostenere, supportare, direzionare la mia traversata ogni volta che la fatica del vivere e lo sforzo di essere minacciavano un penoso naufragio. Per non dire del confronto con le altre/i, che per me, come per chiunque non parta dal postulato assoluto della propria infallibilità, era ed è sempre, anche ora che ho più di settant’anni, banco di prova della mia capacità di accogliere e fare tesoro della diversità o comunque non mai respingerla a priori. Detesto da sempre il classismo, lo snobismo intellettuale. La mia formazione mi ha permesso di non perdere il senso della realtà, il valore della mediazione tra ideali e desiderio utopico di costruzione di un mondo al femminile, nell’interesse di tutte e tutti, particolarmente delle creature più deboli ed emarginate, per un verso, e opportunità e necessità di scelte pragmatiche al fine di raggiungere obiettivi politicamente e concretamente realizzabili, per altro verso. E, soprattutto, da un certo momento in poi non me la sono mai raccontata. Il che tuttavia mi ha complicato non poco le cose in molte situazioni e più che mai in quelle che si venivano a creare nel gruppo allorquando Lina/Nemesi prendeva decisioni e si avviavano progetti che richiedevano gestione realistica, pragmatica e manageriale per l’attuazione e il raggiungimento degli obiettivi concreti ed invece si procedeva ostinatamente in una conduzione, peraltro verticistica, visionaria ed utopica. Dal mio punto di vista praticamente inconciliabile con le esigenze e le urgenze di carattere istituzionale, legale, burocratico ecc. ecc. D’altra parte, cosa aspettarsi da una mentalità talmente utopica da rendere impraticabile persino quella che per me era ed è l’unico comportamento in grado di conciliare ideali, valori, utopie con la realtà? Mi riferisco alla prassi dell’utopia, la quale tiene conto degli ideali e degli obiettivi utopici (non delle ideologie che sono ben altra cosa…), ma anche della organizzazione e della concretezza della dimensione sociale e politica in cui si decide di operare attivamente per il cambiamento possibile. Passo dopo passo, anno dopo anno, senza mai mollare. Nel 1970 Lina Mangiacapre scriveva ed a tutte le femministe chiedeva: “Perché imitare l’agorà? Perché non cercare di arrivare alle molte attraverso le alcune in una politica reale e non di recita? Il potere è una risata. Il consenso quantitativo dà illusione di onnipotenza e gratifica il proprio narcisismo. Non ci caliamo dentro facendoci contaminare dal rituale. Ottima terapia medica ma non è mai politica, tutto ciò che l’uomo chiama politica non lo è, non lo è mai stato. Noi ci dividemmo in piccoli gruppi per fare politica e l’incontro era il grande momento dialettico. Il falso teatro del monologo non può essere politica. La seduzione fallica gioca illusioni vecchie, lasciamo cadere il rigido ridicolo del potere e andiamo alla potenza di un’energia circolare nel cerchio coraggioso di un monologo dialogo trialogo etc. Per fondare la nostra città nella nostra storia”.

Se mi sentivo conflittuata allora, figuriamoci ora!

Il potere… A proposito del potere arrivo al passaggio che ho colto in modo fulminante e che lo riguarda nella splendida relazione di Maria Carla Baroni! Nel senso che ne sono stata presa con l’immediatezza inappellabile dell’idea che mi appartiene. Moltissimo! La penso come lei e mi riferisco a “talora nel dibattito tra donne viene posto il problema della posizione da prendere nei confronti del potere. A mio parere il problema non si pone se consideriamo che sia politica ogni forma di azione collettiva che voglia incidere nell’esistente; la politica nelle istituzioni diventa allora una delle forme possibili, sicuramente importantissima, ma non quella totalizzante, non la sola. Il potere poi non va demonizzato in astratto come “cattivo in sé” se rimane nell’ambito della possibilità e della capacità di decidere e di agire. Naturalmente si tratta di vedere in concreto - caso per caso - per quali fini e con quali mezzi si decide e si agisce. Il potere lo hanno le istituzioni, ma qualche forma di potere lo hanno anche tutti i soggetti collettivi politici, sociali e culturali, nazionali e locali, che spesso si contrappongono alle istituzioni ai vari livelli. La politica nel suo complesso è quindi confronto e conflitto, tra valori e fra interessi”.

Tutto ciò premesso devo però aggiungere che, se si punta alla liberazione in primo luogo delle donne e si propone una sempre più ampia aggregazione tra donne, per quanto valide le motivazioni, non sono incondizionatamente d’accordo. A tal proposito potrei scrivere per ore ed ore se mai avessi voglia di dimostrare che proporre una sempre più ampia aggregazione tra donne, peraltro come unica possibile forza trainante per la liberazione addirittura di tutti gli esseri umani, mi sembra ormai quanto di più utopico si possa pensare… Il che mi riporta ad una profonda e permeante sensazione di conflitto non risolto e – ahimè – temo proprio non risolvibile. Perché? Bella domanda! Probabilmente per la definitività del fatto che non credo più in una generalizzata e generalizzante SORELLANZA. Anzi, a dirla tutta, neanche nella tradizionalmente auspicata FRATELLANZA. Gli ultimi decenni sono stati pesantissimi nel collezionare delusioni sul piano politico, sociale e relazionale, nonché sconcertanti defezioni o tradimenti. Nel verificare sempre più spesso la diffusa incomunicabilità tra donne appena un tantino diverse, sedicenti femministe comprese. E che dire dell’arroganza di quelle ideologicamente imbalsamate e ostinatamente aggregate a partiti o fazioni? Del subire aggressività e persino violenze verbali se solo mi esponevo, dichiarando il mio pensiero, una opinione, un sentire? Ho misurato la crescita esponenziale della mia impotenza a fronte dello smisurato aumento di mentecatte e più o meno finte oche giulive, funzionali al sistema politico e soprattutto a quello massmediale. Ma anche a fronte di intellettuali/femministe con la sindrome del più patetico narcisismo… Credo quindi che pensare di allargarsi a dismisura di aggregazione in aggregazione, mettere, per così dire, sempre più carne a cuocere, potrebbe comportare una sorta di dispersione, un indebolimento della e nella forza della concentrazione. Perdere di vista le priorità e gli obiettivi che hanno determinato la formazione di un gruppo, è sempre negativo, controproducente e persino pericoloso. Nel senso di facilmente prodromico al fallimento che è purtroppo già di per sé da tenere in conto realisticamente sin dalla/e base/i di partenza, in una realtà oppositiva e sabotante ovunque e a vari livelli.


Silvana Campese

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