Nessuno ci rappresenta oggi in Parlamento: noi ecofemministe proponiamo di attualizzare il dibattito avviato da sottosopra nel 1987 promuovendo un confronto attuale tra ecofemmministe e disertori del patriarcato partendo dall'esperienza del nostro decalogo tenendo conto che la separazione della politica dalla società delle donne oggi è molto più profonda di allora, com’è emerso anche dal nostro ultimo confronto in rete dove ci sembrava ormai una via obbligata agire politicamente fuori dalle istituzioni come hanno scelto le giovani di nudm, fff e XR e di altri movimenti e associazioni.
Riprendo parte del testo della libreria delle donne, scusandomi per i tagli, che poneva forti dubbi sul fatto che essere donna fosse rappresentabile nei modi (numerici, quantitativi) della democrazia classica: “...chi entra nell’esercito o nella chiesa, vi entra chiaramente solo per se stessa, quella che entra nel parlamento, istituzione della rappresentanza, con l’idea di una possibile rappresentanza femminile, copre la volontà di quelle che se ne tengono fuori. Quanto all'”ingombro”, l’occhio si abitua presto a vedere una donna al posto di un uomo quando lei assolve le funzioni previste da un ordine sociale pensato da uomini. La significazione della differenza sessuale non può andare senza trasgressione, senza sovversione dell’esistente. di per sé una maggiore presenza femminile in parlamento non crea disturbo perché le rappresentanti debbono accettare molte potenti mediazioni: quella con il partito che le fa eleggere, quella di una inevitabile adesione e legittimazione di quel potere maschile che lì si esprime, e tutte le mediazioni che domanda il fare leggi. In concreto, dunque quello che le elette potranno far valere sarà, al massimo, un diritto di veto sulle leggi per le donne. Oppure agiranno come una piccola lobby, sul modello della democrazia americana. Sia chiaro, non penso e non parlo contro quelle donne che in parlamento vanno, apertamente, per un proprio desiderio, con una competenza e un’ambizione da far valere. se vi sono donne che vogliono entrare in Parlamento, come tante sono entrate nelle professioni e nel mercato del lavoro, che mettano in chiaro il desiderio che le muove, i loro progetti politici, che dicano anche su quale universalità intendono scommettere e quanto, come pensano di difendere la loro parzialità femminile...In questa maniera esse si legano alle altre donne, a me, non attraverso l’istituto della rappresentanza ma attraverso l’affermazione di un desiderio femminile... Eravamo consapevoli che la questione della rappresentanza della differenza sessuale...poteva diventare in pratica una tentazione per alcune di porsi quali mediatrici tra il movimento delle donne e la politica istituzionale.
Noi stesse, d’altra parte, abbiamo bisogno di ragionare più a fondo su come nella vita sociale voglia di vincere ed estraneità s’intreccino fra loro e su come porci rispetto al gioco che in noi si crea fra queste due parti di noi.
Rimane ancora tutta da fare l’analisi delle sovrapposizioni che si creano fra la lingua che la madre comunica (degli affetti) e l’altra lingua, quella sociale trasmessa dal padre. E riuscire a comunicare con semplicità che cosa intendiamo dire con silenzio del corpo, dal momento che di fatto le donne parlano e apparentemente senza differenza dal linguaggio maschile. E riuscire ad agire nel mondo quel tanto di sapere, cambiamento e voglia di vincere che i gruppi di donne hanno prodotto, senza che il nostro agire appaia come un riflesso femminile dell’agire maschile”.
Rifiutiamo di arrenderci all’invisibilità nella sfera pubblica e chiediamo un confronto a chi siede in parlamento e nei consigli, o si candiderà nelle prossime regionali.
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