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Silvana Campese, attivista e artista, col nome di Medea, nel gruppo femminista delle Nemesiache fondato da Lina Mangiacapre/Nemesi, sin fai primi anni '70 vi ha collaborato in molteplici attività ed ambiti, tra cui la redazione della rivista "Mani-festa" edita dalla Cooperativa Le Tre Ghinee/Nemesiache.

foto di silvana campese

Silvana Campese, attivista e artista, col nome di Medea, nel gruppo femminista delle Nemesiache fondato da Lina Mangiacapre/Nemesi, sin fai primi anni '70 vi ha collaborato in molteplici attività ed ambiti, tra cui la redazione della rivista "Mani-festa" edita dalla Cooperativa Le Tre Ghinee/Nemesiache.

Silvana, in arte L'Eclettica ribelle, che è anche il nome del suo studio/laboratorio di scrittura, arte ed artigianato artistico operativo dai primi anni '70 fino al 2019, nacque a Napoli nel 1948. È autrice di numerosi lavori di narrativa e raccolte poetiche ma ne ha pubblicato solo una parte: il romanzo “Prisma”, la raccolta di racconti “Strada facendo”, l’epistolario tenuto con l’amico poeta Lello Agretti “Contrappunto per soli timpani ed oboe”, “La Nemesi di Medea”, storia del gruppo storico femminista napoletano dal 1968 al 2018, il romanzo “Parthenope Inferno Celeste” e per ultimo, nel 2021 “Memorie dal futuro”, romanzo fantapolitico ovvero del genere distopico, a proposito del quale seguono alcuni link :

 

Memorie dal futuro di Silvana Campese - Phoenix Publishing

 

Booreporter Memorie dal futuro di Silvana Campese

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Silvana Campese presenta il suo ultimo romanzo fantapolitico “Memorie dal futuro”. edito da Phoenix Publishing 

 

La scrittrice racconta molto di sé nei suoi libri più autobiografici e soprattutto della sua formazione, del percorso di studi, fino alla laurea in giurisprudenza. Da " La Nemesi di Medea" si riportano alcuni passaggi a proposito della sua tesi di laurea e di quella della figlia in diritto penale, in quanto molto pertinenti con due problematiche affrontate dalle ecofemministe prima e dopo la stesura definitiva del recente Decalogo e cioè prostituzione e violenza sessuale.

“ Il 26 dicembre 1965, all'età di 17 anni, ad Alcamo, (Franca Viola) era stata da lui (Filippo Melodia) rapita e violentata, con la complicità di numerosi amici e quindi segregata per otto giorni in un casolare al di fuori del paese. E poi in casa della sorella di Filippo. Il giorno di Capodanno, il padre della ragazza fu contattato dai parenti dello stupratore, per la cosiddetta ‘paciata’, ovvero per un incontro volto a mettere le famiglie davanti al fatto compiuto e far accettare ai genitori di Franca le nozze dei due giovani. Il padre e la madre di Franca, d'accordo con la polizia, finsero di accettare le nozze riparatrici e addirittura il fatto che Franca dovesse rimanere presso l'abitazione di Filippo, ma il giorno successivo, 2 gennaio 1966, la polizia intervenne all’alba facendo irruzione nell'abitazione, liberando Franca ed arrestando Melodia ed i suoi complici. Il processo che ne seguì ha fatto storia e segnò una svolta importantissima nella mentalità e nella cultura soprattutto delle donne. All'epoca della ribellione dei Viola, la legislazione italiana, in particolare l'articolo 544 del codice penale, recitava: "Per i delitti preveduti dal capo primo e dall'articolo 530, il matrimonio, che l'autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali". In altre parole ammetteva la possibilità di estinguere il reato di violenza carnale, anche ai danni di minorenne, qualora fosse stato seguito dal cosiddetto "matrimonio riparatore", contratto tra l'accusato e la persona offesa; la violenza sessuale era considerata oltraggio alla morale e non reato contro la persona. Io nel 1966 affrontavo gli esami di maturità. Ma dopo qualche anno preparai l’esame di diritto penale, che studiai con entusiasmo sui testi del grande Francesco Antolisei, appassionandomi particolarmente ed approfondendo per piacere mio sia l’argomento dei delitti di prossenetismo (e legge Merlin), tant’è che chiesi poi la tesi – “Induzione favoreggiamento sfruttamento della prostituzione altrui” anno accademico 1969-70 - all’allora bravissimo professor Enrico Contieri, mio relatore, che quello delle norme in materia di violenza sessuale, all’epoca inserite nel Tit. IX del secondo libro del Codice Penale, sotto la rubrica “Dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume”, che conteneva due categorie di reati, rispettivamente denominate “Delitti contro la libertà sessuale” e “Offese al pudore ed all’onore sessuale”. Quindi delitti sì, ma non contro la persona...   Mi sono però rifatta alla grande, preparando la tesi di laurea in diritto penale di mia figlia: anno accademico 1996-97 “Tutela penale della libertà sessuale”, ex legge 15 febbraio 1996 n. 66, dopo aver lottato per più di venti anni nel Movimento Femminista al fine di ottenere che la violenza sessuale fosse finalmente considerata, almeno sul piano giuridico, reato contro la persona!”

Si può immaginare la determinazione e l’energia che occorsero per affrontare la Commissione esaminatrice che, come prevedibile, si impegnò sadicamente per mettere la laureanda in difficoltà e addirittura in imbarazzo prima di dover capitolare dinanzi al valore della tesi sia sul piano tecnico-giuridico che sul piano etico e attribuire il sospirato 110 e lode! Vi si sosteneva infatti, sin dai primi capitoli che, tra le varie cause individuali, cioè dei soggetti prostituentesi, così come tradizionalmente e storicamente evidenziate (arrivando addirittura a teorie di derivazione lombrosiana cioè a partire da “La donna delinquente, la prostituzione e la donna normale” del Lombroso ed. 1927 ) e le oppressioni, minacce, ricatti, violenze dei lenoni, venivano affrontare in modo critico quelle di carattere generale a partire dalla struttura sociale, generatrice essa stessa di queste e molte altre brutture e ingiustizie nei riguardi delle donne e soprattutto la convinzione atavica di un vero e proprio diritto del maschio alle attività sessuali extraconiugali o, comunque, a pagamento poiché colui “che ricorre alla prostituzione compie un atto, infondo, naturale, quando addirittura  non dia lecito sfogo alla sua esuberante virilità”. Queste e molte altre considerazioni risultavano ovviamente molto provocatorie… Era solo il 1970…  

Da un suo lavoro di narrativa "Il sentiero di nome Vivi", romanzo inedito – 2002, si riporta uno stralcio dal capitolo “Un Pianeta sano”, riferentesi particolarmente all'impegno di decenni e decenni, a partire dalla fine degli anni '60, delle donne in lotta, comprese ovviamente le Nemesiache sempre molto impegnate artisticamente e culturalmente sui temi dell'ambiente, del rispetto per il mare e per il territorio ed il recupero di quella parte di esso già da decenni abbandonata al degrado...

“Il nostro proposito per il futuro era quello di lavorare alla costituzione ed al rafforzamento delle reti di solidarietà femminile, di intervenire nei dibattiti sull’argomento “ambiente e sviluppo”, di conquistare il diritto a condividere le decisioni sui temi principali e sui problemi più grossi che il mondo aveva di fronte. In primo luogo il fatto che il 20% della popolazione mondiale consumava l’80% delle risorse della terra ed era responsabile al 75% dell’inquinamento del pianeta già nei primi anni ’90, mentre a farne le spese erano (e lo sono ancora) le popolazioni del Sud e la crescente percentuale di poveri che vivono nei paesi industrializzati.

Ogni passo avanti nei diritti delle donne aveva rappresentato un progresso per tutta l’umanità e nessuna donna, in un secolo e mezzo di lotta per l’uguaglianza, aveva mai difeso i propri diritti in quanto persona a spese di quelli degli altri. Infatti gli interessi ed i valori delle donne in lotta erano sempre stati inscindibilmente legati al concetto di armonia ed il desiderio più grande era quello di incidere nel presente e nel futuro a partire dalla nostra specificità e dalla nostra cultura: il rapporto di cura, in primo luogo, la dimensione affettiva, il desiderio di pace nelle relazioni umane, la tensione verso un mondo in cui sviluppo fosse sinonimo di giustizia e rispetto per la persona umana e per l’ambiente. Il progresso, nella cultura delle donne, doveva andare di pari passo con l’espressione della creatività, il libero fluire delle idee e la promozione della vita e della soddisfazione di ogni creatura.

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Un pianeta sano era per noi un mondo in cui le donne e gli uomini potessero vivere in armonia con sé , tra loro e con la natura, dove

vi fosse uno scambio tra diversi e venisse rispettato il pluralismo culturale. La tecnologia doveva avere lo scopo di conservare la diversità ecologica e basarsi sulle esperienze e le esigenze della comunità e sul patrimonio culturale delle donne e delle popolazioni indigene.

Ricordavamo al mondo che i problemi dell’ambiente sono legati alla distribuzione del benessere ed all’equità per cui, senza cambiare la cultura che identifica il consumo con la soddisfazione umana nei paesi industrializzati, non ci sembrava possibile attuare uno sviluppo sostenibile e risanare il pianeta.

Infatti gli interventi legislativi e governativi, se e dove c’erano stati, si erano risolti in una mera combinazione di provvedimenti tecnici: l’ordine sociale ancorato ad una cultura priva dei valori fondamentali della solidarietà umana, aveva di fatto ostacolato l’indispensabile passaggio da uno sviluppo sfrenato e distruttivo ad un sistema globale integrato ed armonico di sviluppo reale e realmente sostenibile.

Un ordine sociale vuoto di quei valori non fa che generare di per sé le condizioni che perpetuano povertà e degrado ambientale i quali non possono convivere con la coscienza della tutela ambientale”.

manifestazione di donne
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